«L’amministrazione va avanti con serenità». Non accenna ad un passo indietro, Virginia Raggi, cui la tenacia e la testardaggine non difettano. L’imperativo è resistere ripetuto non tre ma dieci volte, abbarbicata a pochi concetti portanti del M5S mentre aspetta la fine della terribile scossa che scuote Palazzo Senatorio. Poco importa se perfino la seduta del consiglio comunale dedicata al bilancio preventivo viene sospesa, tra le proteste dei consiglieri di opposizione e dei cittadini presenti in Aula (tra loro anche alcuni sostenitori dell’ex sindaco Marino).

A poche centinaia di metri di distanza, all’hotel Forum trasformato in quartier generale, Beppe Grillo, che non si è mosso da Roma, raduna il vertice al completo per evitare che il terremoto si trasformi in tsunami. E il rischio, a giudicare anche dai commenti dei militanti che inondano il blog delle stelle è davvero concreto.

Dopo l’arresto del direttore del personale del Campidoglio, appreso «con sorpresa», la sindaca convoca una breve conferenza stampa senza spazio per le domande e con il solo scopo di rabbonire l’inviperito capo («Te lo avevo detto, ora rimedia; vanno verificati tutti gli atti fatti da Marra», le avrebbe ordinato al telefono) e mezzo Movimento che ora chiede la sua testa. Non ce la fa ad addossarsi tutta la responsabilità dell’errore – «noi ci siamo fidati», «probabilmente abbiamo sbagliato» – ma non può evitare di scusarsi personalmente con i «cittadini romani», con il M5S e soprattutto con «Beppe Grillo che aveva sollevato qualche perplessità».

Ma lui, Raffaele Marra, non è più il suo braccio destro, anzi non lo è mai stato: «Il mio unico braccio destro sono i cittadini romani». Da insostituibile («Se va via lui vado via anche io», ripetuto più volte nelle riunioni di maggioranza) a «uno dei 23 mila dipendenti capitolini, e non un esponente politico». «Come ho sempre detto» (perfino). Erroneamente (lo dimostra la motivazione del Gip) attribuisce l’arresto di Marra per fatti che «non riguarderebbero in alcun modo questa consiliatura».

E ricorda la mozione presentata in Campidoglio nel 2013 assieme agli altri consiglieri 5S «contro gli affitti d’oro di Scarpellini» che, come rilancia in serata il blog di Grillo, fece risparmiare ai cittadini romani «10 milioni di euro derivanti dagli affitti degli edifici di largo Loria e via delle Vergini». I pentastellati rivendicano anche la paternità della disdetta dei «contratti capestro che la Camera aveva sottoscritto con l’immobiliarista romano, generando un risparmio di oltre 32 milioni all’anno». Ma dimenticano che fu Rita Bernardini, allora deputata Radicale, insieme a Marco Pannella, nel 2010, quando i grillini non erano ancora entrati in parlamento, la prima a denunciare i contratti stipulati dalla Camera con la società Milano ’90 di Scarpellini in un dossier intitolato «Amici miei».

Grillo cerca di tenere la barra dritta – «Non possiamo perdere Roma», ripete – ma fatica. All’hotel Forum si ragiona sulle prossime mosse, ben tenendo presente che incombe lo spettro di un avviso di garanzia per abuso d’ufficio sulla stessa Virginia Raggi, secondo molti rumors.

I più infuriati sono Roberto Fico (che definisce fin da subito «gravissima» la situazione romana e annulla come tutti gli altri parlamentari la partecipazione al flash-mob su Mps che avrebbe dovuto tenersi a Siena) e Roberta Lombardi (la grande accusatrice di Raffaele Marra, definito «un virus che infetta il M5S», e oggetto di un suo esposto-denuncia presentato in procura il 22 novembre scorso) che ora sentenzia contro la sua antagonista di sempre: «Non bastano le scuse».

L’ala “ortodossa” vorrebbe almeno proibire a Raggi l’uso del simbolo M5S. L’unico che continua a schierarsi con la sindaca è il vicepresidente della Camera Luigi Di Maio, anche lui inviso ai duri e puri del Movimento. La discussione infervora per ore anche Paola Taverna, Nicola Morra, Massimo Baroni e il capogruppo dei consiglieri M5S Paolo Ferrara che raggiunge l’hotel Forum appena finita la tesissima riunione di maggioranza indetta nel pomeriggio da Raggi.

Dai social intanto arrivano le voci al vetriolo dei parlamentari a 5 Stelle. Come quella di Riccardo Nuti, il deputato siciliano sospeso per il caso delle firme a Palermo, che attacca chi nel Movimento ha permesso «questa gestione pessima» della situazione romana (il riferimento è anche a Di Maio) all’insegna della «logica del fidarsi sempre di pochi amiconi disposti a tutto, e del consenso elettorale a tutti i costi».