Fino alla campagna sul «tesoretto», il pluritwittato #bonusdef, tutto sembrava più o meno funzionare: 1,6 miliardi da devolvere munificamente (in vista delle prossime elezioni regionali), un ok di massima incassato dai Comuni, i dati dell’economia che più o meno tornano, anche se l’occupazione ancora traballa. Ma ieri per il premier Matteo Renzi e per il suo Def, varato venerdì sera, sono emersi i primi grattacapi: in particolare dalle Regioni, che chiedono un confronto al più presto e temono per i propri bilanci, soprattutto perché la gran parte della spending review calerà come un’accetta sulla sanità. Senza contare le imprese, beffate da un codicillo del Jobs Act, scovato dal Sole 24 Ore, che ieri gli ha dedicato la prima pagina, con tanto di acidissimo corsivo anti-governo.

L’incontro della Conferenza Stato-Regioni è fissato per mercoledì prossimo, e non sarà per niente semplice per il governo: esecutivo e governatori dovranno infatti definire dove e come tagliare i circa 2,3 miliardi che, alla voce sanità, contribuiranno per oltre la metà al sacrificio da 4 miliardi imposto alle Regioni dalla legge di Stabilità 2015. Il grosso dei risparmi – circa 1,5 miliardi – arriverà dai tagli sull’acquisto di beni e servizi, anche attraverso lo strumento della rinegoziazione dei contratti. Altre risorse arriveranno invece dalla riorganizzazione della rete ospedaliera. Ma è possibile pure un intervento sulla spesa farmaceutica. E si vagliano altre ipotesi, anche se Renzi, presentando il Def, venerdì aveva escluso ancora una volta tagli alle regioni e ai comuni. «Semmai – aveva spiegato – ci saranno delle razionalizzazioni nella spesa sanitaria. Vi pare possibile – aveva poi chiesto – che ci siano regioni con 7 province e 22 Asl?».

Leggendo il Def, comunque, si fa via via più chiaro il quadro dei tagli, anche se per il momento i dettagli restano oscuri: ad esempio i tagli alla sanità, rientrerebbero tra i 7,2 miliardi di riduzione della spesa chiesta più in generale a tutto il sistema pubblico, inclusi quindi i ministeri. Altri 2,4 miliardi, invece, verranno ricavati da una revisione delle agevolazioni fiscali: verranno colpite anche alcune fasce di cittadini privati, cioè le famiglie, o si riuscirà a recuperare tutto dal riordino del sistema che riguarda le imprese?

La promessa, comunque, è che la pressione fiscale dovrebbe scendere sotto il 43% del Pil: al 42,9% nel 2015 e al 42,6% nel 2016. C’è da specificare che il calcolo è al netto degli 80 euro: «Nel triennio 2015-2017 -. recita la premessa al Def – si riduce la pressione fiscale, al netto della classificazione contabile del bonus Irpef 80 euro». Inoltre, «viene scongiurata l’attivazione delle clausole di salvaguardia per il 2016, che avrebbero prodotto aumenti del prelievo pari all’1% del Pil».

Ieri è continuato comunque il coro di suggerimenti per l’utilizzo del bonus da 1,6 miliardi ricavato dall’aggiustamento (in deficit) del rapporto deficit/Pil (dal 2,5% al 2,6%): Renzi ha già spiegato che la destinazione verrà decisa «nelle prossime settimane», e si profila sempre più la possibilità – gradita anche ai sindacati – che la cifra possa essere spesa per allargare la platea degli 80 euro. Ieri Annamaria Furlan, leader della Cisl, invitava a destinare il bonus a «incapienti, pensionati, ai giovani collaboratori e agli autonomi».

Per Susanna Camusso, leader Cgil, il «tesoretto» deve andare «a investimenti e occupazione», come pure «è una nostra richiesta l’allargamento degli 80 euro a incapienti e pensioni basse».

Infine, al governo è arrivato l’attacco della Confindustria: le imprese hanno scoperto che nei decreti di attuazione del Jobs Act è stata inserita una clausola di salvaguardia rispetto alla possibilità che venga esaurito il plafond destinato agli incentivi alle assunzioni. I 24 mila euro in tre anni fanno gola, ma il fondo cassa non è infinito: e quindi, se dovessero fare richiesta più imprenditori del previsto, le risorse verrebbero recuperate da uno speciale “contributo di solidarietà”, a carico delle imprese e dei lavoratori autonomi.

Una vera beffa, una “pugnalata” che Confindustria non si aspettava, dopo le ripetute lodi elargite ai provvedimenti del governo. Addirittura un corsivo in prima pagina del Sole 24 Ore ieri pretendeva «il nome di cotanto genio» che ha ideato la clausola. E il ministro del Lavoro Giuliano Poletti corre ai ripari: «La clausola verrà superata prima dell’ok definitivo al provvedimento».