Un doppio naufragio, altri sedici morti tra i quali una ragazzina di 16 anni e tre bambini (un quarto è disperso), proprio mentre il Parlamento di Atene votava (con una sola defezione) la Finanziaria lacrime e sangue del governo Tsipras 2.0. Il primo barcone è affondato ad Ayvalik, vicino alla costa turca: 12 i morti e 25 le persone invece salvate dalle autorità turche. Il secondo al largo dell’isola greca di Kalymnos: quattro i morti, la ragazza e i tre bambini, e tredici le persone salvate dalla Guardia Costiera, mentre un quarto bimbo e una donna risultano dispersi. Si tratta dell’ennesima strage, dopo che giovedì, a causa della collisione tra un’imbarcazione di migranti e un’unità della Guardia costiera greca durante un tentativo di salvataggio al largo dell’isola di Lesbo, erano morte altre sette persone, tra le quali tre bambini e un neonato.

Nonostante l’arrivo dell’autunno e le barriere alle frontiere dei paesi dell’est, il flusso di profughi verso le coste elleniche non si ferma: secondo l’agenzia per i rifugiati dell’Onu, quasi 400 mila richiedenti asilo sono sbarcati nel 2015 in Grecia, mentre sulle coste italiane, tra migranti e profughi, siamo a quota 613 mila (gli ultimi 662 sono stati soccorsi ieri dalla Marina militare italiana al largo della Libia). La questione immigrazione è stato il tema principale della campagna elettorale in Svizzera (e probabilmente premierà il partito di destra anti-immigrati Udc), così come ha determinato l’avanzata della Fpoe a Vienna, una settimana fa (ma il comune è rimasto nelle mani dei socialisti). Nel frattempo, la marcia dei migranti verso il vecchio continente diventa un percorso a ostacoli sempre più pericoloso, come dimostra l’uccisione, due giorni fa, di un afghano ai confini con la Bulgaria (mentre in Svezia è stata bruciata una scuola che doveva ospitare i rifugiati). Ieri l’Ungheria ha sigillato il valico di Kazany, per impedire il passaggio dei migranti dalla Croazia, anche se il governo Orban si è poi corretto: la frontiera rimane chiusa ai «clandestini», cioè ai migranti economici, ma «può essere ancora attraversata legalmente dai richiedenti asilo», ha chiarito il portavoce del governo, Zoltan Kovacs.

La nuova rotta passa ora per il confine sloveno. Già ieri un primo autobus carico di profughi è giunto al valico di Gruskocje, ai confini con la Croazia. Le autorità di Lubiana hanno inviato l’esercito al confine per dar man forte alla polizia e hanno sospeso il traffico ferroviario con la Croazia, per impedire ai rifugiati di spostarsi in treno.

A complicare la situazione, ci si mette la difficile situazione turca, con la guerra ai kurdi del Pkk voluta dal presidente Recep Tayyp Erdogan che rende difficile la collaborazione con Atene. Al vertice sull’immigrazione di due giorni fa, la Grecia (rappresentata da Alexis Tsipras) e Cipro si sono opposte all’accordo con la Turchia, fortemente sostenuto da Angela Merkel (sotto attacco in Germania per l’apertura ai profughi siriani ma determinata a non chiudere le frontiere tedesche), grazie al quale Ankara riceverà 3,41 miliardi di euro per gestire i campi profughi, rafforzare i controlli alle frontiere, accogliere le riammissioni e incrementare la lotta contro i trafficanti di esseri umani.

Ma la miopia politica, in Europa, regna sovrana. A cercare di fornire una visione più ampia ci ha pensato ieri il Segretario di Stato Usa John Kerry: «L’Europa è in mezzo a una terribile crisi per i rifugiati. Il mondo deve affrontare questo tema. Ma i rifugiati di oggi non sono niente in confronto alle migrazioni di massa che saranno causate dalla siccità e dai cambiamenti climatici», ha detto nel suo intervento all’Expo di Milano, dov’è stato accolto dal ministro degli Esteri italiani Paolo Gentiloni, il quale a sua volta ha ricordato che l’Italia «non costruisce muri» ma salva vite in mare. Ma, alla vigilia dell’apertura del summit Onu sul clima di Parigi Cop 21, la questione del clima (e del rapporto con le migrazioni) non è neppure stata accennata nel summit europeo, così come a nessuno è venuto in mente di mettere in relazione le recenti alluvioni in Italia e nel nord della Francia con i gas serra. Visto il caso Volkswagen, se ne intuiscono i motivi.