«La scommessa su Nola è partita» annunciava ieri Crescenzo Auriemma, segretario regionale della Uilm Campania. In mattinata i sindacati firmatari avevano incontrato i vertici Fiat all’interno del Giambattista Vico, lo stabilimento di Pomigliano d’Arco, per discutere dell’indotto diretto del Lingotto: il Wcl, il reparto della logistica di Nola mai entrato in funzione con 300 lavoratori in cassa integrazione a zero ore dal 2008, e la Pcma Magneti Marelli (ex Ergom) di Napoli con 700 lavoratori in cig dal 2011. Il tavolo di discussione prelude all’incontro in regione, fissato per la prossima settimana, in cui si discuterà della proroga della cassa per entrambi gli impianti.
Nola, in particolare, è passato da reparto fantasma (in cui l’azienda ha relegato lavoratori con ridotte capacità lavorative e ad altra conflittualità) a reparto macchiato di sangue dopo il suicidio di tre operai, due quest’anno, e le lettere di licenziamento recapitate ad altri quattro, rei di aver protestato esponendo un manichino impiccato con il viso di Sergio Marchionne. Soprattutto, Nola è il simbolo degli impegni disattesi: sulla carta doveva essere il polo della logistica, sul modello Toyota, per tutti gli stabilimenti del centrosud (Cassino, Melfi, Val di Sandro, Pomigliano), nei fatti nessun lavoratore della logistica è stato trasferito a Nola e ogni fabbrica ha tenuto la propria divisione.

Secondo gli accordi discussi ieri, ripartirebbe grazie «alla selezione e spedizioni di minuterie per il centro sud – spiega Auriemma -. Si parte con 60 lavoratori che rientreranno in fabbrica e a rotazione lavoreranno nel sito di Nola. Il sindacato e i lavoratori saranno protagonisti della costruzione del futuro. Contrariamente a quanti dicevano che Nola era chiuso, possiamo dire che il Polo, nonostante la crisi che ancora perdura, incomincia con seppur poche attività, a sentirsi di nuovo nel progetto Fca».

Leggendo con attenzione, non c’è di che stare allegri. Al Wcl non si è mai fatta e mai si farà la logistica, piuttosto verranno fatti lavori per avviare la produzione e manutenzione di contenitori di metallo con cui si trasportano le minuterie sulle linee di produzione. Un lavoro che veniva svolto dalla Lifi, un’azienda dell’indotto del casertano, i cui 24 lavoratori sono stati messi in mobilità a maggio di quest’anno. L’anno scorso la Fiat aveva deciso di passare ai contenitori in plastica, che non si deformano ma si spaccano, e così aveva ottenuto a Nola un altro anno di cassa integrazione per ristrutturazione. Adesso decide il ritorno al metallo e questo consentirà di chiedere ancora un anno di cigs, mettendo sul tavolo la briciola delle 60 postazioni. Una specie di gioco delle tre carte sulla pelle degli operai.

La cassa integrazione è l’unica prospettiva concreta anche per la Pcma, azienda del Lingotto. Attualmente l’unica attività svolta è un po’ di componentistica per il Ducato fatto in Brasile (che andrà fuori produzione nel 2016): nei momenti di picco si tratta di 12 giorni al mese per 140 lavoratori, altrimenti si scende a quattro giorni. Il Ducato sfornato in Italia non dà commesse alle Ex Ergom. Dei 700 operai, circa il 12% è stato ricollocato in altre fabbriche del gruppo e questo consentirà la prossima settimana di chiedere altra cassa per ristrutturazione, grazie a un programma di riorganizzazione che però non prevede nient’altro perché nessuna nuova missione produttiva è alle porte. «Altri stabilimenti Pcma in Italia sono stati portati all’interno delle mura Fiat, salvando i lavoratori – spiega Vincenzo Chianese, rsu della Fiom – mentre per Napoli non c’è questa volontà. L’indotto campano è quello che sta pagando il prezzo più altro ai piani di Marchionne».