In Libia l’annuncio, anche se sostanzialmente smentito, dell’autorizzazione all’ingresso nel porto di Tripoli di navi militari italiane è interpretato in un unico modo, su cui per una volta si nota un sostanziale uniformità di vedute: un boomerang per il premier del governo di accordo nazionale Fayed Serraj.

SERRAJ stesso ha ribadito anche ieri che la sovranità libica non si tocca e le acque territoriali sono «una linea rossa invalicabile». I suoi portavoce, per calmare le critiche, hanno dato la colpa a una cattiva traduzione in arabo di articoli di stampa italiani, evidentemente esagerati e non corretti. E il ministero degli Esteri di Tripoli ha precisato con una nota che l’unico sostegno chiesto all’Italia da Serraj nel contrasto alle organizzazioni criminali dedite al traffico di migranti è «logistico, tecnico e operativo» e legato alla Guardia costiera libica (per altro infiltrata dai trafficanti come ricordava ieri anche il Washington Post). Tradotto, per l’Italia si tratta di garantire ai guardiacoste libici : forniture tecniche, manutenzione delle motovedette, attrezzature elettroniche e informazioni, incluso l’addestramento.

«Nessuna ingerenza di nessun tipo senza permesso e coordinamento con le autorità libiche sarà permessa sul suolo o in acque libiche», si sottolinea. E ancora: se si prevede un utilizzo più esteso «di alcuni elementi della Marina militare italiana che già lavorano al porto di Tripoli», questi saranno impiegati «solo in caso di necessità» e con compiti specifici legati alla lotta all’attività dei contrabbandieri di migranti.

E lo stesso un membro del Consiglio di Stato che sostiene il governo Serraj, Aboul Qasim Qazit sentito dall’agenzia di stampa italian Nova ha voluto ribadire, vagamente minaccioso, che «nel caso in cui le navi italiane o europee dovessero entrare nelle acque territoriali libiche, Serraj avrebbe abusato dei suoi poteri». Insomma, rischierebbe accuse di alto tradimento o simili.

HAFTAR, il generale della Cirenaica che dopo il ricevimento nel castello parigino ha minor pudore a farsi chiamare «feldmaresciallo», da parte sua non ha sentito il bisogno di smentire l’appellativo di «fanfarone» con cui di ritorno dalla stretta di mano con Macron ha bollato il rivale Serraj. In compenso ha rilasciato una lunga intervista all’edizione in arabo di Ashaq al Awasat, il più influente quotidiano saudita, nella quale mette i puntini a posto rispetto alla dichiarazione congiunta con il premier Serraj raggiunta a Parigi con la mediazione francese e emiratina. Haftar dice di aver solo «concesso un’ultima possibilità a Serraj» rispetto alla capacità di «rispettare gli impegni», primo fra tutti, «unificare le forze armate – intendendo, evidentemente, sotto il comando dello stesso Haftar – e «sciogliere le milizie», con esplicito riferimento a quelle di Misurata, ossatura delle forze armate che sostengono Serraj. Sostiene che alcune frange delle milizie misuratine stiano collaborando con i combattenti dell’Isis sconfitti a Sirte.

Il generale rimarca come nella nota finale dell’incontro parigino le operazioni «antiterrorismo» siano rimaste espressamente escluse dal cessate il fuoco concordato. E così ieri tramite l’Agenzia Nova anche i comandi dell’operazione «al Bunian al Marsus» (Edificio dalle fondamenta solide), composta dalle milizie di Misurata, hanno annunciato che i loro velivoli ricognitori stanno dando la caccia nel deserto a ciò che resta dello Stato islamico in Libia, per non lasciare solo l’Esercito nazionale libico (Lna) di Haftar.

IL PARLAMENTO DI TOBRUK – riconosciuto sul piano internazionale ma favorevole ad Haftar – vuole ora rinegoziare l’intesa di Shkirat del dicembre 2015, su cui poggia la legittimazione Onu di Serraj.
Il principale sponsor di una nuova riconciazione libica che salvaguardi l’unità nazionale, è comunque la compagnia petrolifera libica Noc diretta da Mustafà Sanalla, che ha annunciato di voler raddoppiare le esportazioni di petrolio, visto che quelle libiche esulano dalla moratoria Opec. La pacificazione in Libia più che sui migranti, poggerà sul petrolio e Haftar ha alle spalle gli interessi russi di Rosneft e francesi di Total.