Ad Avellino gli studenti pagano fino a 200 euro per partecipare a un programma di «alternanza scuola-lavoro». È la denuncia dell’Unione degli Studenti (Uds) che ha ricevuto la segnalazione di un accordo tra un liceo classico della città campana e il dipartimento di biologia dell’università Federico II di Napoli. L’oggetto della formazione consiste in una serie di analisi dell’acqua. Al progetto hanno aderito gli studenti che non erano stati avvertiti di una contro-indicazione. Solo in corso d’opera, una volta attivato il percorso di alternanza, una circolare ha chiarito che devono versare dieci euro per gli incontri previsti. Per il sindacato studentesco queste spese dovrebbero coprire il costo del trasporto da Avellino a Napoli.

Il caso avellinese segna un salto di qualità: l’informazione su una professione avviene a spese degli studenti, poco più che adolescenti. Ma questa non è la prima denuncia dell’Uds sui malfunzionamenti di un programma sul quale prima il governo Renzi, e oggi quello Gentiloni, puntano molto.

Da un anno il programma di professionalizzazione dell’istruzione pubblica è obbligatorio per tutte le scuole superiori, licei compresi. È il pilastro della «Buona scuola» e potrebbe essere valutata anche ai fini della maturità.

L’Uds pugliese ha denunciato il caso di una studentessa di un istituto professionale alberghiero in provincia di Bari inviata a distribuire volantini in una fiera dedicata alla promozione di matrimoni. La ragazza ha raccontato di turni di lavoro fino a dodici ore continuative al giorno, con pause di quindici minuti al massimo. La sua «formazione» consisteva nel dare al pubblico della fiera informazioni sulla collocazione dei bagni o sulla posizione di uno stand.

Uno studente di un liceo scientifico di Barletta ha fatto la sua esperienza di «alternanza scuola-lavoro» in un cinema della città pugliese. Ha catalogato locandine di film degli anni Ottanta conservate negli armadi da anni per cinque giorni. Altri studenti sono stati messi a catalogare libri in biblioteca. Attività non troppo impegnative, ma non certo coerenti con gli indirizzi di studio impartiti nel suo istituto. Di cinema, o di catalogazione di libri, infatti, non se ne parla in questa scuola. Per farlo, servono competenze complesse, e un mestiere che matura in anni di studio e specializzazioni universitarie. Senza contare che queste attività avrebbero dovute eseguirle i dipendenti delle aziende impegnate nei programmi di «alternanza scuola lavoro», non studenti appena introdotti al mondo degli archivi.

Il problema è anche di abbinamento tra le competenze acquisite da uno studente dello scientifico e il campo scelto dalla scuola per portare a termine la sua formazione professionale. Dallo scientifico ci si aspetterebbe il collocamento in un laboratorio chimico, o di biologia, e ancora in uno studio di architetti o di ingegneri. Certo, il cinema o le biblioteche sono mondi meravigliosi, e non è escluso che uno studente dello scientifico possa avvicinarli. Ma il problema sembra stare a monte.

«Queste e altre swegnalazioni che riceviamo da mesi dimostrano, nel caso di Avellino, l’esistenza di esperienze inaccessibili per gli studenti che non hanno le possibilità economiche per sostenere le spese e deresponsabilizza lo stato dagli investimenti in istruzione – sostiene Francesca Picci, coordinatrice nazionale Uds che sostiene l’adozione di un codice etico e di uno «statuto degli studenti in alternanza» – In un anno e mezzo abbiamo visto casi che vanno dallo sfruttamentodegli studenti alla totale inadeguatezza delle esperienze. Vogliamo essere formati, non sfruttati».