A S. R., studente del quarto anno di un istituto agrario di Sartor di Castelfranco Veneto, provincia di Treviso, era stata promessa un’esperienza «4.0». Per le due settimane obbligatorie di «alternanza scuola-lavoro» avrebbe dovuto frequentare un’azienda agricola rinomata per i nuovi metodi di mungitura fatta con i robot, i sistemi di valutazione applicati alla portanza delle mammelle, computer che elaborano schede tecniche spinti dall’innovazione di processori intelligenti capaci – si dice – di fermarsi quando le mammelle sono munte.

PER UNO STUDENTE che studia agraria è sembrata un’opportunità quella di osservare il processo produttivo; comprendere come le macchine si interfacciano con gli animali e i lavoratori; analizzare la rete dell’economia agroalimentare in Veneto, una di quelle realtà definite «eccellenze» in un paese dove si confonde una categoria merceologica con lo spirito assoluto incarnato nel «made in Italy».

S. R. HA CONOSCIUTO una realtà molto diversa da quella promessa dalla scuola e dall’azienda. Si è ritrovato con un badile in mano a spalare letame dalle otto fino a mezzogiorno nelle stalle. E poi, dalle 16 alle 19 ha spalato il letame di tutte le altre. Per due settimane. Il contenuto formativo della sua «alternanza» con gli studi in classe è consistito nel supplire «alla più bassa manovalanza aziendale. Non è stata un’alternanza con la scuola, ma un’esperienza da dimenticare». Un proposito comprensibile, ma non sarà affatto facile dimenticare questa esperienza perché quest’anno S.R. dovrà fare altre cento ore di alternanza in un caseificio: «Se questi sono i presupposti – ha aggiunto – ho veramente paura che anche questa esperienza vada alla deriva».

LA TESTIMONIANZA dello studente evidenzia gli attuali punti deboli del colossale esperimento in corso nella scuola italiana. La mancanza del tutor: «non si è mai visto, per questo motivo non c’è mai stata l’occasione di imbastire un serio dialogo tra scuola e azienda capace di recare beneficio alla mia esperienza di stagista»; l’inesistenza del «monitoraggio» sull’effettivo contenuto del periodo di prova che per i tecnico-professionali è pari a 400 ore obbligatorie, mentre per i liceali è di 200 ore; la mancanza di una carta dei diritti che permetta agli studenti di dire «basta» a prove generali di sfruttamento.

DOPO I CASI di violenza sessuale a Monza, di un grave infortunio a La Spezia dove un ragazzo si è fratturato una tibia, anche questo è arrivato in parlamento dove Loredana De Petris e Alessia Petraglia (Sinistra Italiana) hanno presentato un’interrogazione al Senato in cui chiedono alla ministra dell’Istruzione Valeria Fedeli quali iniziative ispettive siano state attivate dal Miur e quali siano stati i provvedimenti presi nei confronti dell’azienda e dei vertici dell’istituto in questione.

DOPO I 70 CORTEI del 13 ottobre scorso contro l’alternanza scuola-lavoro non è solo in discussione il «malfunzionamento» di un sistema «giusto», ma l’intera concezione di un progetto che espone 1,5 milioni di studenti del triennio delle superiori a situazioni ai limiti dello sfruttamento gratuito di manodopera; a un dispositivo di umiliazione e di formazione al precariato; alla dequalificazione dello studio attraverso un sistematico ricorso a mansioni eterogenee, improvvisate e casuali.