Costruire sviluppo rinunciando a scambi mercantili e connessioni? «Difficile da immaginare». Se l’Italia buttasse lo sguardo proprio oltre quelle Alpi che si vorrebbero bucare a Chiomonte o a San Giuliano di Susa – meglio però la via già pronta, che attraversa per esempio in treno il San Gottardo – si potrebbe prendere esempio da quell’ambientalismo maturo che valuta le grandi opere «una per una». Come fa il sindaco genovese, Marco Doria, eletto da indipendente nelle liste di Sinistra, ecologia e libertà. E tra un traforo ancora tutto da realizzare, «inutile e dannoso», come spiegano da decenni ormai non solo gli irriducibili valsusini, e un’opera da ultimare solo in territorio italiano, come l’accesso a sud dell’Alptransit svizzero (vedi articolo in pagina), Doria non ha remore a scegliere. E non solo per amore della sua Genova, e di un porto che rischia di perdere la sua tradizionale funzione di snodo tra il sud del Mediterraneo e il nord dell’Europa.

Sindaco Marco Doria, se lei potesse decidere dove investire i fondi pubblici per potenziare un collegamento merci e passeggeri tra l’Italia e il nord Europa a quale opera darebbe la priorità? Alla Torino-Lione?

Senza dubbio la priorità – e non lo dico affatto con spirito campanilista – è il corridoio Genova-Rotterdam. Spiego perché: c’è tutto un pezzo dell’Europa produttiva che vuole affacciarsi verso l’esterno per necessità di esportazione dei propri prodotti e di importazione delle merci provenienti dal resto del mondo. La Lombardia, la Svizzera e la Germania meridionale hanno bisogno di uno sbocco marittimo e Genova è sempre stato il loro porto privilegiato. In alternativa, la Svizzera e la Germania potrebbero, e già lo fanno, spostare i loro interessi sui porti del nord Europa, Rotterdam o Amburgo. Non possiamo dimenticare la funzione storica del porto di Genova, una città che non riesco a immaginare possa diventare una sorta di grande Santa Margherita Ligure. Certo, ha una sua vocazione turistica sempre più consolidata, ma la città portuale è di vitale importanza. Anche dal punto di vista occupazionale. Perciò c’è bisogno di intercettare il movimento merci, mettendosi al servizio dell’hinterland naturale. Questa è la prospettiva più importante per Genova. A questo aggiungo la mia personale convinzione che il trasporto merci debba essere il più possibile trasferito su rotaia diminuendo quello su gomma, anche nel rispetto della direttiva europea 20-20-20, quella cioè che impone agli stati membri di arrivare entro il 2020 al 20% di abbattimento di emissioni, di produzione di energia rinnovabile e di risparmio energetico. Oltre al fatto che potenziare le ferrovie e ridurre il traffico di camion, come ha fatto la Svizzera, vuol dire anche un risparmio di costi sociali.

In effetti la Svizzera è arrivata al 43% del traffico merci su rotaia, contro il nostro 8%. Nell’ottica di ultimare le tratte di accesso a sud della Alptransit e fare di Genova il capolinea italiano del corridoio tra i due mari si deve però affrontare il nodo del cosiddetto Terzo valico a cui molte associazioni si oppongono per varie ragioni: è considerata un’opera inutile per la diminuzione del flusso merci nel porto di Genova, e dannosa perché durante gli scavi sono state trovate tracce di amianto nelle rocce che potrebbero inquinare le falde acquifere. Qual è la sua posizione in merito?

Diciamo subito che nonostante la crisi, l’aumento della disoccupazione e la diminuzione dei consumi, gli indicatori economici di Genova attestano invece un buon andamento del traffico di container nel porto. (Tra il 2005 e il 2010, secondo i dati ministeriali del Piano nazionale della logistica, è aumentato dell’8%. Mentre a Marsiglia, per fare un esempio, è aumentato solo del 3% e Barcellona ha perso il 6%, ndr). Senza immaginare crescite vertiginose, ho motivo di ritenere che si continuerà su questo trend. Per evitare di asfissiare la città, c’è bisogno dunque di spostare su ferrovia il flusso di merci. Se vogliamo parlare di grandi opere, invece, dico subito che non sono contrario a priori: ritengo che le grandi come le piccole opere vadano valutate una per una. Per esempio ritengo che l’alta velocità Roma-Milano sia stata positiva. Sottolineo comunque l’importanza della regia pubblica, italiana ed europea. Naturalmente il controllo sui costi deve essere effettuato con grande rigore al fine anche di evitare infiltrazioni della criminalità organizzata negli appalti pubblici. Per quanto riguarda l‘impatto ambientale del Terzo valico, non sono io a dover esprimere giudizi tecnici. Non sono un ingegnere dei trasporti né un tecnico ambientale. Le valutazioni ambientali cui a suo tempo fu sottoposto il progetto sono oggi verificate attraverso un Osservatorio nazionale che ha attivato un monitoraggio sulle opere, in collegamento con l’agenzia regionale per l’ambiente e il Comune, in particolare per controllare la presenza di rocce contenenti amianto, una questione cui va prestata la massima attenzione. Certo, non sono tra coloro che dicono che c’è sempre un prezzo da pagare per il progresso.

Non è contrario all’idea stessa dell’alta velocità?

Credo ci sia un equivoco in merito. Dobbiamo porci due obiettivi: ridurre i tempi di percorrenza tra Milano, Genova e la Svizzera, per incentivare l’uso del treno nello spostamento delle persone e creare un asse forte con quelli che un tempo erano i due poli del triangolo industriale italiano. Per le merci invece è meno rilevante il tempo, un’ora in più o in meno non cambia. Ma c’è l’assoluta necessità di disincentivare il trasporto su gomma. Per questo non basta riferirsi alla sola tratta da Genova alla pianura Padana ma all’intero collegamento, quindi anche alla tratta da Tortona fino a Milano che al momento non è stata né progettata né finanziata.

Per Genova non c’è alcuna attrattiva nell’asse Torino-Lione?

Per Genova, e direi per l’Italia, l’asse prioritario è quello nord-sud. Bisogna, infatti, chiedersi da cosa sono attratti i mondi economici della Svizzera e della Lombardia. Già all’inizio del ’900 Luigi Einaudi scrisse alcuni bellissimi articoli per il Corriere della Sera sulla funzione fondamentale del porto genovese. Allora i cotonieri lombardi erano spesso costretti a ricevere il cotone sbarcato ad Amburgo, anziché da Genova. Il nostro porto può invece diventare uno snodo tra i paesi del sud del Mediterraneo e il nord Europa, e assumere un carattere strategico nell’idea di potenziare quel corridoio mare-rotaia.

Anche Carlo Cattaneo, dall’esilio in Ticino, nel 1861 caldeggiava il finanziamento da parte italiana della galleria ferroviaria del San Gottardo, impresa ritenuta fondamentale (e di fatto lo sarà) per modernizzare la penisola. E l’Italia in effetti contribuì sostanziosamente all’opera. Oggi nel porto di Genova alcuni lavori progettati sono fermi per mancanza di finanziamento, è vero? Qual è lo stato dell’arte?

Per quanto riguarda i lavori in corso per potenziare le aree operative del porto – le banchine a pettine di Sampierdarena e altre – ci sono finanziamenti nazionali (218 milioni di euro, secondo l’Oti Nordovest, ndr). Non c’è invece ancora alcun finanziamento disponibile per gli altri lavori previsti. Per ospitare le navi portacontainer più grandi, si sta ora discutendo il nuovo piano regolatore portuale, con l’idea di spostare la diga foranea, un investimento di grandi proporzioni che il porto potrebbe anche autofinanziare se potesse trattenere almeno in parte il gettito fiscale indotto dai suoi traffici.

Come esponente della sinistra, lei esprime delle idee che sembrano un po’ in antitesi con quelle dell’ambientalismo militante, con quel mondo associazionistico che preferisce – non senza qualche preconcetto – uno sviluppo senza cemento, magari più propenso al solo recupero delle infrastrutture esistenti e alla tutela dei beni ambientali. Non prova qualche imbarazzo?

Sono anch’io legato all’idea di un nuovo modello di sviluppo che si fonda su una critica più che motivata allo status quo. Ma, pur non nascondendomi tutti i limiti e le distorsioni del modello di sviluppo vigente, non immagino un modello senza scambi mercantili, i quali anzi tendenzialmente continueranno a crescere. Ecco, credo anch’io come Robert Kennedy che la felicità di un paese non si misuri solo con il Pil, ma, per mia formazione personale, ritengo che l’indicatore Pil e l’andamento dei traffici di scambio siano indicatori pur sempre molto importanti. Per la felicità e il benessere c’è bisogno di molto altro, ma senza sviluppo economico è difficile raggiungerli.