Elegante nel suo completo chiaro ma senza rinunciare a quel tocco di eccentricità che contraddistingue il suo stile, Pedro Almodovar è giunto al Lido di Venezia per ricevere il Leone d’oro alla carriera. In moltissimi si sono affollati presso il red carpet ad attenderlo quando nel pomeriggio si è recato in Sala Grande per la consegna del premio e per la proiezione di Donne sull’orlo di una crisi di nervi che in laguna si aggiudicò il premio per la migliore sceneggiatura nel 1988. Come ha ricordato in conferenza stampa, il suo battesimo internazionale come regista è avvenuto proprio a Venezia nel 1983 con Entre tinieblas che in Italia è noto con un titolo buñuelliano che a lui non piace, L’indiscreto fascino del peccato: «Ero un giovane regista e il semplice fatto di partecipare a quel festival mi sembrò miracoloso e in effetti fu un vero miracolo che fosse selezionato perché allora dirigeva il festival Gian Luigi Rondi, vicino alla Democrazia cristiana, a cui il film parve molto osceno. Ma fortunatamente, la stampa parlò subito parecchio del film e dell’opposizione di Rondi, e fu impossibile escluderlo».

IL PREMIO alla carriera giunge dopo il riconoscimento attribuito non a lui, ma ad Antonio Banderas all’ultimo Festival di Cannes per Dolor y gloria, che il divo ha dedicato al regista e al loro lungo sodalizio umano e artistico. Quel film è apparso come un’opera di bilancio per il cineasta mancego che riflette sulle gioie e i dolori anche fisici che la creatività porta con sé. Perché il corpo è da sempre uno dei cardini del cinema di Almodovar da Pepi, Luci, Bom e le altre ragazze del mucchio (1980) a La pelle che abito (2011). Un corpo che invecchia, si ammala, muore, che non mente sulle sue necessità. Ma anche un corpo che desidera, che è desiderato e che l’artificio può rendere sublime, come spiega la transgender Agrado in Tutto su mia madre (1999) quando dice che: «Una è tanto più autentica quanto più somiglia all’idea che ha di sé» e per farlo non esita a ricorrere a ogni artificio inclusa la chirurgia plastica.

NEGLI ANNI, lo stile di Almodóvar si è perfezionato, anche raffinato, ed è diventato riconoscibile come quello di Hitchcock o Ford ma il regista ha spiegato alla stampa che quando ha iniziato a fare film non aveva idea di cosa fosse il linguaggio cinematografico e dunque non aveva mai pensato allo stile con cui girare, alla forma della narrazione e della messa in scena: «Per me era soltanto importante che la storia si capisse». È proprio con Entre tinieblas, ritratto di un manipolo di suore lesbiche, cocainomani, pornografe nel cui convento trovano ospitalità giovani donne perdute, che ha cominciato a disporre di più mezzi e a essere maggiormente consapevole. Il film tra l’altro rappresenta anche l’approdo del regista al melodramma, genere che da quel momento continuerà a reinventare in modo originale e anticonformista: «Le notti madrilene erano all’epoca interminabili e io mi formai a questa università».

OLTRE al melodramma, però, l’autore ha frequentato e liberamente ibridato tra loro anche altri generi: l’horror, la pubblicità, la commedia corale, il dramma sociale, il thriller, il musical. La musica è infatti insieme al teatro e alla scrittura una delle prime passioni artistiche di Pedro, come dimostra la raffinatezza di scelte musicali che hanno reso leggendarie alcune sequenze dei suoi film, si pensi al bolero che risuona in Entre tieneblas, a Miguel Bosé che canta Mina in Tacchi a spillo (1991) o a Caetano Veloso che intona una struggente Cucurrucucú paloma in Parla con lei (2003). Ma anche l’accenno a La vie en rose nell’ultimo film è da brivido per quanto brevissimo, perché Pedro, che dell’eccesso ha fatto la sua cifra, è ormai capace di emozionare anche con un tocco delicato. Prima di ripartire terrà una masterclass per il pubblico veneziano.