Almeno una donna in ogni consiglio di amministrazione delle società tedesche quotate in Borsa, ma se lo Stato (centrale o a livello di Land) detiene la quota di maggioranza il numero dovrà essere almeno pari al 30%. È scritto nel nuovo disegno di legge concordato nel fine-settimana dai leader dei tre partiti della Grande coalizione. «Un grande successo per le donne in Germania: non solo perché rappresenta un’importante conquista sociale ma anche un’opportunità per le aziende» sottolinea la ministra della Giustizia, Christine Lambrecht (Spd), tra i promotori del provvedimento.

Tuttavia, è ancora «troppo poco» secondo l’opposizione, a cominciare dai Verdi per cui «la norma è il minimo sindacale: il piano del governo Merkel avrebbe dovuto e potuto essere molto più ambizioso», tiene a precisare Ulle Schwaus, portavoce dei Grünen al Bundestag.

In ogni caso si tratta di una conquista storica: attualmente il cda delle società tedesche è composto da donne solo nel 12,8% dei casi, come certifica il recente studio pubblicato dalla Fondazione AllBright.

Dato non troppo dissimile dall’Italia, dove gli incarichi «executive» declinati al femminile nelle prime 100 imprese nazionali corrispondono all’11,9%, conferma la ricerca dell’istituto americano Spencer Stuart che dal 1956 si occupa di selezionare i dirigenti nei Directory Board delle più influenti imprese private.

Ma il disegno di legge su cui la maggioranza di governo ha trovato la quadra (superando lo scetticismo mai nascosto dei cristiano-sociali e della stessa cancelliera Angela Merkel) permetterà anche, finalmente, di superare il mancato rispetto della «raccomandazione» fatta dalla GroKo un lustro fa.

Nel 2015 il ministero della Famiglia aveva chiesto ufficialmente ai dirigenti delle imprese con oltre 2.000 dipendenti di «intraprendere azioni concrete per una migliore e più ampia partecipazione» delle donne nei cda, ma l’iniziativa era stata completamente ignorata.

Soprattutto per questo motivo ieri hanno festeggiato le associazioni di categoria. Il presidente della Federazione nazionale dei sindacati (Dgb), Reiner Hoffmann, ha sottolineato di essere «soddisfatto» nonostante la nuova legge «arriva in forte ritardo e sarebbe imbarazzante affermare il contrario, visti gli anni di inefficace impegno volontario da parte degli imprenditori».

I quali, adesso, temono la “rivoluzione” che mette in crisi la tradizionale gestione patriarcale delle loro aziende, al punto che ieri l’Associazione federale delle industrie (Bdi) ha pregato il governo di «combinare i punti attuativi del provvedimento in un compromesso equilibrato che ci permetta di estendere il più possibile il periodo di transizione dalle vecchie alle nuove regole».

Segno della dimensione dello scossone che ha investito come un treno il capitalismo tedesco ma ancora prima i conservatori dell’Unione di Cdu-Csu. La Wirtschaftsflügel  (l’Ala economica) dei democristiani ha digerito molto male la mossa del governo, e ora promette battaglia in Parlamento: «Ci sarebbe stato bisogno, al contrario, di un chiaro segnale di stop affinché l’economia sociale di mercato non venga messa in discussione da un eccesso di regolamentazione perfino più stringente dell’attuale. Faremo tutto il possibile per evitare che la quota obbligatoria delle donne nei cda diventi realtà» avverte Hans Michelbach, vicepresidente del gruppo parlamentare sulle Piccole e medie imprese per conto del partito bavarese. Mentre il sindacato Dgb gli risponde così a stretto giro: «La Wirtschaftsflügel dovrebbe finalmente decidere di aprire il proprio cuore alla politica moderna».