Ieri erano in presidio all’ingresso del Consiglio regionale della Campania, stamattina i lavoratori di Almaviva Contact e Gepin andranno in corteo a Palazzo San Giacomo, sede del comune di Napoli, e a Santa Lucia dove ci sono gli uffici del governatore Vincenzo De Luca. Gli aderenti alla Slc Cgil hanno invece in programma di occupare la sede partenopea di Almaviva in via Brin, dove rischiano il licenziamento in 400 su 880. Va peggio alla Gepin, dove è in pericolo tutta la forza lavoro, 221 dipendenti. Si tratta solo della punta di un iceberg: la prima società italiana di outsourcing ha dichiarato anche 1.670 esuberi nella sede di Palermo e 918 a Roma, per un totale di 2.988; alla Gepin il 10 maggio potrebbero finire in mobilità 450 su 600 dipendenti divisi tra Casavatore, nell’hinterland partenopeo, e Roma.

Il gruppo Gepin nasce dall’unione di Gepin Contact (della famiglia Zavaroni) e Uptime, partecipata al 30% da Poste Italiane. Grazie alla compartecipazione in Uptime, il gruppo per 13 anni ha avuto l’affido diretto del call center delle Poste. A febbraio 2015 Enzo Zavaroni viene indagato per bancarotta, Gepin cambia proprietà ma la commessa viene assegnata a nuove società attraverso una gara pubblica al massimo ribasso, lotti aggiudicati con una riduzione media del 30%, il lavoro pagato 29 centesimi al minuto. I sindacati chiedono che venga applicata la clausola di salvaguardia sociale, cioè che le nuove ditte subentranti assorbano la manodopera precedente, ma Poste italiane ha ignorato la richiesta. «Con il nostro contratto, un terzo livello delle Telecomunicazioni, e tredici anni di anzianità, è impossibile rientrare con una gara al massimo ribasso – raccontavano ieri i lavoratori Gepin – Già così guadagniamo una miseria e da aprile 2015 siamo in cassa integrazione con il 60% dello stipendio».

Il gruppo Almaviva è un colosso del settore: 45 mila dipendenti in otto paesi, la costola Almaviva Contact ne conta 7.862, quasi la metà rischia di finire in mobilità il 5 giugno. Nel corso dei rinnovi contrattuali, i lavoratori hanno visto le tutele assottigliarsi: lo straordinario, i notturni e i festivi pagati come ordinario, permessi gestiti al 30% dall’azienda, la pausa di mezz’ora cancellata. A dicembre poi il cambio di inquadramento Inps da telecomunicazioni a terziario: con la nuova categoria, Almaviva non dovrà versare da 6 a 9 mensilità all’Inps per ogni lavoratore licenziato ma il 41% di 3 mensilità, né dovrà versare più i contributi addizionali per la cassa integrazione, la cig straordinaria e la mobilità con un risparmio di 3 miloni all’anno.

L’azienda lamenta la perdita di commesse importanti come Enel, Wind e Mediaset premium andate alla concorrenza con gare al massimo ribasso. In attivo, secondo Almaviva, solo le sedi di Catania, Milano e Rende mentre a Palermo, Roma e Napoli i margini di profitto non sarebbero sufficienti. «Fino alla prima settimana di marzo abbiamo fatto straordinario- raccontano i dipendenti partenopei – Non abbiamo perso commesse, incluso il nostro più grande cliente, Vodafone. Solo in 200 fanno il full time, il resto lavora 4 ore in contratto di solidarietà, che è arrivato al 50% della paga base. Una miseria». Così sospettano che per Napoli ci sia un calcolo diverso: nel 2010, grazie ai contributi regionali, vennero stabilizzati 400 lavoratori interinali, adesso sono finiti e si cerca di rimetterli fuori per assumere poi con i vantaggi del Jobs Act oppure spostare la commessa Vodafone in una nuova sede in Romania.

«Almaviva ha usufruito di grandi incentivi pubblici, non può scaricare sui lavoratori la concorrenza del mercato», commenta il consigliere regionale, Gianluca Daniele, ex segretario campano Slc Cgil. Domani sindacati e azienda si incontreranno nella sede romana di Almaviva per l’esame congiunto della procedura di licenziamento: «Non ci sarà nessun accordo – spiega Michele Azzola, segretario nazionale della Slc – Il Mise deve aprire tavoli di vertenza. La soluzione passa da tre punti: gare che rispettino le clausole sociali; l’attuazione delle norme anti-delocalizzazione in base alle quali l’utente deve poter scegliere se essere servito da un operatore italiano o estero; ammortizzatori sociali a tre anni come nelle categorie del commercio o per i partiti politici».