Le brutte notizie non arrivano mai sole. In un’America impelagata ad affrontare il Covid-19 l’uruguagio Luis Almagro è stato riconfermato venerdì segretario generale dell’Organizzazione degli Stati d’America (Oea).

Muniti di mascherine, distanziati a dovere l’uno dall’altro i delegati dei 34 Stati del continente –meno Cuba – (nessun ministro degli Esteri però era presente a causa del coronavirus) riuniti in una sala appositamente condizionata di Washington hanno eletto il candidato di Trump.

Un acerrimo nemico di quei governi progressisti che cinque anni fa – quando Almagro sfoggiava la sua appartenenza al fronte progressista dell’Uruguay come ministro degli Esteri di Pepe Mujica – lo avevano fatto eleggere.

Fiutato il vento dopo l’arrivo di The Donald alla Casa bianca Almagro aveva velocemente voltato gabbana con tanto entusiasmo e dedizione da diventare il pupillo del segretario di Stato Mike Pompeo e da essere espulso dal suo ex partito in Uruguay.

Cosa di cui ben poco gli importa: dopo aver avallato, e anche sollecitato a volte, tutte le decisioni più canagliesche di Trump nei confronti del governo bolivariano del Venezuela e di Cuba e soprattutto dopo aver partecipato attivamente al golpe anti Evo Morales in Bolivia lo scorso autunno, aveva deciso di ricandidarsi. Ha ricevuto 23 voti dei paesi conservatori e di destra dell’America latina oltre a quelli di Usa e Canada.

La sua avversaria, candidata soprattutto dell’alleanza progressista tra il Messico di Andrés Manuel López Obrador e l’Argentina della coppia presidenziale dei Fernández, María Fernanda Espinosa ne ha raccolti dieci.

Il terzo candidato, l’ambasciatore in Usa del Perù Hugo de Zela, si è ritirato pochi giorni fa dopo che Pompeo gli aveva detto di togliersi di mezzo per non dividere i voti dello schieramento delle destre e rischiare che Almagro non raggranellasse la maggioranza semplice dei voti necessaria a essere rieletto.

Ordini chiari ai quali ha obbedito anche il presidente dell’Ecuador Lenín Moreno, anche lui come Almagro autore di uno spillover dallo schieramento progressista a quello dei capi delle colonie sudamericane degli Usa: l’Ecuador infatti non ha votato per l’ex ministro degli esteri (però di Correa) dell’Uruguay.

Scontato invece il voto a favore del Venezuela, visto il paese nell’Oea è rappresentato dal delegato del presidente autonominato (da Washington) Juan Guaidó.

Il “cortile di casa” degli Usa dunque ha un guardiano fidato per altri cinque anni. Pronto a spalleggiare chi paga per intero i costi della Oea.

Almagro non metterà certo sotto accusa Donald Trump perché, in tempi di pandemia e di migliaia di morti annunciati nel continente, continua nella sua politica di strangolamento commerciale-economico e finanziario nei confronti di Cuba e Venezuela.

Impedendo ai loro governi di acquistare medicine e tecnologia medica –ma anche prodotti alimentari – naturalmente per appoggiare «le richieste di libertà e democrazia» dei popoli.