Nel prossimo fine settimana il Gran Premio di Formula 1 si correrà in Bahrein, piccolo arcipelago che da mezzo secolo è il banco di prova della stabilità del Golfo persico: il 60-70% della popolazione è sciita, qui si sono scontrati gli interessi sauditi e iraniani durante la primavera araba del 2011, frutto di una vivace cultura politica.

In quell’occasione a mobilitare i cittadini erano stati i partiti, di orientamento differente di cui due sciiti, uno religioso e l’altro laico. Inizialmente pacifiche, non settarie e nazionaliste, le dimostrazioni in Piazza della Perla avevano visto protagonisti gli sciiti e, in misura minore, i sunniti.

A differenza di altri paesi, nel 2011 il reddito medio pro-capite dei cittadini del Bahrein superava i 25mila dollari l’anno: le proteste non si sarebbero potute disinnescare distribuendo denaro, i manifestanti esigevano riforme e una monarchia costituzionale, prendendo le distanze dall’oligarchia reale.

Le proteste pacifiche erano state però represse dai mercenari al soldo della dinastia sunnita al-Khalifa con l’aiuto dei carri armati di Riyadh: i sauditi erano intimoriti da un possibile effetto domino nella loro provincia nordorientale, dove si concentra il 10% della produzione mondiale di greggio e vive – perseguitata – una minoranza sciita che sarebbe uscita rinvigorita da una vittoria dei loro correligionari in Bahrein. Nemmeno Washington si poteva permettere che la situazione degenerasse: a pochi minuti da Piazza della Perla si trova la V flotta americana.

A fare orecchie da mercante di fronte alla repressione del regime, pare essere anche l’Università di Roma La Sapienza che lo scorso novembre ha istituito la cattedra «King Hamad Chair for inter-religious dialogue and peaceful co-existence», finanziata dal sovrano del Bahrein e a lui dedicata, anche se l’idea di dialogo e coesistenza pacifici tra religioni poco si accorda alla realtà dei fatti: come recita un proverbio mediorientale, l’odore dei soldi sposta anche il corso dei fiumi.

Per comprendere il presente è necessario leggere la Storia: nel corso dell’Ottocento il Bahrein si trasforma da rurale in realtà urbana, l’elemento sciita si intreccia a quello tribale sunnita, l’imprenditoria è vivace nel business delle perle, la società è plurale grazie alla presenza di mercanti e banchieri, pescatori e schiavi ma anche immigrati arabi, persiani e indiani. Da almeno due secoli Manama è una città di stranieri; questa realtà non è un’invenzione dell’era del petrolio e la crescita non è solo il risultato dell’espansione globale.

La storia del Bahrein deve fare i conti con i Paesi vicini e il colonialismo: fino al 1971 la sponda sud del Golfo era sotto tutela britannica, fu la crisi del 1968 a costringere i laburisti a mettere fine alla presenza militare a est del Canale di Suez. Temendo di finire preda delle potenze regionali, gli sceicchi chiesero a Londra di restare.

Gli inglesi dovettero garantirne la sicurezza creando una confederazione (gli Emirati arabi) negoziando con lo scià che reclamava il Bahrein. In cambio della rinuncia all’arcipelago, Muhammad Reza Pahlavi ottenne che non facesse parte degli Emirati e poté annettere tre isole che erano state dell’Iran fino all’invasione inglese del 1908 ed erano contese dallo sceicco di Ras al Khaima. Fu questo accordo a permettere agli inglesi di ritirarsi.

Gli eventi successivi sono la Rivoluzione iraniana del 1979, il passaggio dalla monarchia dei Pahlavi a una Repubblica islamica guidata dall’Ayatollah Khomeini e l’invasione dell’Iran da parte delle truppe di Saddam nel settembre 1980. L’anno dopo, Arabia Saudita, Bahrein, Kuwait, Oman, Qatar ed Emirati costituiscono il Consiglio di Cooperazione del Golfo in chiave anti-iraniana, ma anche con l’obiettivo di escludere l’Iraq baathista.

Il comune denominatore delle sei monarchie del Golfo è far fronte comune contro l’Iran. E infatti, all’indomani dell’adesione degli Emirati, lo sceicco di Ras al Khaima fa sì che tutti gli altri lo sostengano per riottenere le tre isole annesse dallo scià: con la costituzione del Consiglio di Cooperazione del Golfo, la battaglia è condivisa dai Paesi membri.

A mettere in difficoltà l’unità di questa alleanza di monarchie è lo spirito indipendente di Stati come il Qatar, deciso a sottrarsi all’egemonia saudita.

Un mondo complesso, quello situato sulla sponda sud del Golfo persico. Difficile districarsi. Di certo la prestigiosa Università La Sapienza non può permettersi di essere collusa con un regime sanguinario come quello degli al-Khalifa, colpevoli delle peggiori nefandezze, documentate da Amnesty e da altre organizzazioni per i diritti umani.