«I termini umano e umanità indicano semplicemente la modalità usata per contrassegnare il territorio della bianchezza europea come tipo ideale di homo sapiens. Ciò significa che le concezioni di umanità e umano, animalità e animale sono state costruite secondo linee razziali». Queste poche righe di Syl Ko riassumono l’impianto della proposta, costruita assieme alla sorella Aph, proposta a cui hanno dato il nome di «veganismo nero» e che sta al cuore di un blog che ora è un libro: Afro-ismo (Vanda, pp. 227, euro 16, prefazione di Ippolita). La traduzione del volume è a cura di Feminoska (con cui ci scusiamo per la mancata citazione sull’edizione cartacea, provvederemo alla rettifica nell’edizione del 30 giugno, ndr).
Affermare che «i binarismi bianco/nero e umano/animale non si ripercuotono l’uno sull’altro ma sono strettamente intrecciati a partire dal terreno comune regolato dalla «nozione negativa di animale» comporta una serie di conseguenze sul piano della riflessione e dell’attivismo.

Da un punto di vista teorico, significa offrire una solida base esplicativa alla potenza descrittiva della teoria intersezionale. Vedere gli incroci, affermano le autrici, è ancora il risultato dell’utilizzo delle mappe concettuali prodotte dalla supremazia bianca. Gli incroci, infatti, sono visibili nel momento in cui si ritiene che esistano assi separati di privilegio e oppressione (i vari -ismi) – come vuole l’ordine dominante fatto di classificazioni sezionanti –, che possono poi incontrarsi per potenziarsi a vicenda – come mostrato da un’ingente mole di pensiero critico. Per Aph e Syl Ko, invece, a partire dal loro posizionamento ai margini dell’umano, è chiaro che gli assi di privilegio e oppressione si costituiscono insieme e simultaneamente nel «campo del subumano», lungo la scala naturae, che va dall’Uomo all’Animale, in cui «gli -ismi sono espressioni diverse dell’etichetta meno-che-umani».

IN ALTRI TERMINI (mutuati dalla fisica dei quanti), gli -ismi sono immediatamente entangled, parti indissociabili di uno stesso fenomeno, che cambia aspetto solo al variare delle prospettive di osservazione. Da un punto di vista militante, Aph e Syl Ko si augurano che la loro proposta reindirizzi profondamente le strategie dei diversi movimenti anti-sistema. Se le lotte liberazioniste sono radicate su un terreno comune è la struttura sistemica e istituzionalizzata dello sfruttamento che va portata alla luce e denunciata: il dispositivo di specie che, invisibile, opera dentro qualunque oppressione. Il che, ovviamente, non dovrebbe condurre – come troppo spesso accade – a un accostamento acritico e depoliticizzante di immagini di orrori simili perpetrati su gruppi differenti perché questo fa necessariamente scomparire una delle due oppressioni. Proprio per questo – esporre le differenti modalità concrete di espressione degli -ismi – si dovrebbe evitare di rivendicare l’appartenenza a una medesima umanità; essendo un costrutto sociale e non un fatto biologico, questa Umanità del Medesimo, infatti, non può che favorire quello stesso universale-padrone che si vorrebbe combattere: l’Uomo-Maschio-Bianco.
Poiché il campo del subumano non è stato semplicemente escluso da quello dell’umano, ma escluso e appropriato, chi si oppone a questo sistema non dovrebbe chiedere un’inclusione colonizzante (traformare tutt* in umani-maschi-bianchi), ma lottare per una liberazione decolonizzante che, smarcandosi dall’«architettura concettuale» fondata su binarismi gerarchizzanti, dia «avvio al processo di mappatura del futuro».

IL PAMPHLET pur interessante non è privo di criticità. Da un lato, sembra talvolta perdere di vista che umanità e animalità sono meccanismi essenziali per legittimare e perpetuare uno sfruttamento che precede – e non segue – la loro invenzione. Dall’altro – e questo è il prezzo che il libro paga alla sua origine web – le autrici sorvolano su riflessioni fondamentali per il loro stesso discorso, per esempio, il pensiero di Derrida sull’animale. Nonostante questo, Afro-ismo resta uno strumento prezioso. Oggi più che mai, dato che «respirare» «è qualcosa che tutti dovremmo essere in grado di fare senza sforzo». Oggi che agli oppressi viene letteralmente tolto il respiro.