Ieri il Consiglio di Sicurezza dell’Onu si è riunito su richiesta di otto paesi (tra cui l’Italia) a seguito del riconoscimento Usa di Gerusalemme capitale di Israele.

Palese la diversità di piani su cui si muovono palestinesi e israeliani: i primi, con l’ambasciatore Mansour, hanno ribadito la difesa di Gerusalemme sulla base delle risoluzioni Onu e la legalità internazionale; i secondi, con il rappresentante Danon, hanno presentato un’antica moneta come prova della connessione ebraica con la Città Santa, «che nemmeno l’Onu può alterare».

Sul fronte internazionale, la Russia ha chiesto la ripresa dei negoziati da far mediare all’Egitto che, da parte sua, ha definito quella Usa «una decisione unilaterale senza alcun impatto sullo status legale» della Città Santa. La Gran Bretagna ha condannato la decisione «unilaterale» di Trump definendola «un disastro diplomatico».

Al fuoco incrociato ha risposto l’ambasciatrice Usa all’Onu Haley (da molti considerata il vero segretario di Stato, con buona pace di Tillerson): la decisione, ha detto, è stata dettata dal «buon senso» e dall’intenzione di rispettare il voto del 1995 del Congresso Usa che prevedeva già il trasferimento della sede diplomatica a Gerusalemme.