Sono arrivati ieri all’Onu anche i presidenti dell’America latina, per esporre rivendicazioni, cercare mediazioni o realizzare incontri a margine per questioni delicate. Prima di tutto Raul Castro, che lunedì pronuncerà il suo primo discorso nell’ambito delle aperture volute da Obama. La Casa Bianca ha confermato le voci di un faccia a faccia tra il capo di stato cubano e quello Usa, dopo la telefonata intercorsa tra i due la scorsa settimana alla vigilia dell’arrivo del papa all’Avana. Castro tornerà a chiedere la fine del blocco economico – imposto 55 anni fa dagli Usa – che ha stremato ma non piegato il suo paese.

Una misura ripetutamente condannata dalla maggioranza dei paesi all’Onu, ma sempre con l’eccezione degli Usa e di Israele e di qualche paese di contorno, sufficiente a bloccarne la rimozione. Questa volta, invece, gli Usa potrebbero astenersi. Obama darebbe così un altro segnale al Congresso, comunque a maggioranza repubblicana. L’altro grande tema è quello della restituzione di Guantanamo, sede della base militare Usa e campo di concentramento che Obama – nonostante le promesse – non è ancora riuscito a smantellare. Il Nobel per la pace Adolfo Pérez Esquivel gli ha inviato una lettera al riguardo.

E da Cuba è arrivato anche il presidente colombiano Manuel Santos. All’Avana ha concluso uno storico accordo con Timoshenko, leader della guerriglia marxista Farc, sotto l’egida di Raul Castro. Un primo passo ancora lontano dalla meta: gli accordi di pace che le parti vorrebbero concludere entro sei mesi. Nel frattempo, infatti, in Colombia si è scatenata l’isteria dell’estrema destra capeggiata da Alvaro Uribe e dalla sua lunga mano giudiziaria, il procuratore Alejandro Ordonez. Gruppi di potere che temono di vedersi scippare i lauti finanziamenti che Washington potrebbe (in parte) dirottare dalla “lotta al terrorismo” al “post-conflitto”. Papa Bergoglio ha dato il suo sostegno alla soluzione politica e il Vaticano ha avuto un peso nel placet concesso da Obama nonostante l’opposizione dei falchi di Washington.

All’Onu è andato anche il presidente venezuelano Nicolas Maduro, che si è fortemente adoperato per agevolare il processo di pace in Colombia (messo in moto da Chavez). Maduro deve ora fare i conti con la doppia faccia del neoliberista Santos: pronto a dismettere i panni della colomba per difendere i traffici loschi di frontiera. Una questione emersa a livello internazionale dopo la decisione di Maduro di chiudere la frontiera tra Venezuela e Colombia per arrestare il contrabbando e la violenza destabilizzante dei paramilitari. Le parti hanno concluso un accordo, ma la Colombia glissa sugli impegni concreti per risolvere i problemi alla radice e costruire la «frontiera di pace» proposta da Maduro. Quest’ultimo ha anche un altro fronte aperto di cui si parlerà all’Onu: quello con la Guyana e la zona contesa dell’Esequibo. Ban Ki-moon ha proposto una mediazione, ma il presidente Granger (a nome della Exxon Mobil, a cui ha già concesso di estrarre petrolio nelle acque contese dal Venezuela) ha rifiutato. Ma intanto, lavoratori dei due paesi hanno firmato un’intesa dal basso. Maduro cerca anche incontri a margine per affrontare la caduta del prezzo del petrolio e recuperare i rapporti con gli Usa.

Sul tavolo anche il conflitto fra Cile e Bolivia per la richiesta di uno sbocco al mare chiesto da Morales, anch’egli all’Onu. Il presidente boliviano vuole la mediazione del papa, che si è già espresso al riguardo. E poi c’è il contestatissimo presidente messicano Enrique Pena Nieto, che deve discutere con Obama l’Accordo Transpacifico, di cui il Messico è perno e che dovrebbe concretizzarsi a breve. Ma all’Onu contano di farsi sentire anche le madri dei 43 studenti messicani, scomparsi un anno fa a Iguala. In Messico, i famigliari hanno presentato a Nieto un documento in 8 punti ma, a parte vaghe promesse – hanno commentato- «il presidente e i suoi funzionari non hanno accettato nessuno dei punti». Anzi, li hanno malmenati.