Ieri all’Assemblea generale Onu, l’uno-due tra Abu Mazen e Netanyahu è iniziato con il discorso del presidente palestinese, il primo a una platea internazionale dal 6 dicembre 2017 quando l’amministrazione Trump ha avviato lo smantellamento dei diritti sanciti dall’Onu: il riconoscimento unilaterale di Gerusalemme capitale di Israele, il trasferimento dell’ambasciata Usa nella Città Santa, i tagli a Unrwa e Anp e la cacciata dell’Olp da Washington, in concomitanza con i 25 anni da quegli Accordi di Oslo che portarono proprio all’apertura di una sede diplomatica palestinese negli Usa.

Sullo sfondo di un lunghissimo applauso, Abu Mazen ha pronunciato il cuore del suo messaggio prima dei saluti di rito: «Gerusalemme non si vende. I diritti dei palestinesi non sono negoziabili».

Ha ribadito la lotta per uno Stato palestinese tramite la pace e attaccato la presidenza Trump: «[Con lui] abbiamo iniziato con lo stesso impegno per la pace, atteso la sua proposta di pace con pazienza ma siamo rimasti scioccati dal risultato. Le decisioni prese sono un insulto al diritto internazionale, minano la soluzione a due Stati. Propongono solo una soluzione umanitaria, hanno tolto dal tavolo le questioni politiche, Gerusalemme e i rifugiati».

Per questo ha proposto un tavolo negoziale che abbia come mediatori il Consiglio di Sicurezza e il Quartetto per il Medio Oriente e ribadito: «Vogliamo uno Stato con confini definiti e i suoi diritti. Dov’è il crimine in tutto questo?».

Un’ora dopo è toccato al premier israeliano Netanyahu che però ha «snobbato» la Palestina (citata per difendersi dalle accuse di apartheid e accusare Abu Mazen di finanziare il terrorismo) per dedicarsi al nemico più attuale: rivendicata l’opposizione all’accordo sul nucleare con l’Iran e le «prove» (smentite da rapporti internazionali e l’analisi di Google Earth) del tentativo di Teheran di produrre l’atomica, ha svelato l’ultima «scoperta»: «L’Iran ha un nuovo magazzino nucleare a Teheran dove nasconde numerosi ordigni. Perché l’Iran lo nasconde? Non lo distrugge perché non ha abbandonato l’obiettivo di sviluppare la bomba nucleare».

Per poi minacciare: «Continueremo ad agire contro l’Iran in Siria, in Libano, ovunque e sempre». Non ha dimenticato Hezbollah, accusandolo di usare i cittadini di Beirut come scudi umani per la presunta presenza di missili in città. Scordando le armi che circondano gli israeliani, ma non i ringraziamenti all’amministrazione Trump, la più vicina di sempre all’agenda israeliana.