Albero dei saggi e dei sapienti. Così l’Africa chiama il baobab. All’ombra delle sue foglie e del suo tronco, infatti, saggi e sapienti dispensano da secoli regole sociali e consigli. Ricorda la forma del baobab il padiglione dell’Angola all’Expo, dove il secondo produttore di petrolio dell’Africa dopo la Nigeria, circa un milione e settecentomila barili al giorno, declina il tema «Cibo e Cultura. Educare per Innovare».

Cioè? «L’educazione è interpretata come l’impegno ad accrescere la consapevolezza della società angolana nei confronti del cibo, partendo dalle scuole e dalle Università, fino a giungere alla definizione di norme che regolino la produzione dei cibi locali e importati, introducendo livelli qualitativi anche nei mercati locali. L’innovazione implica da una parte il costante incoraggiamento delle buone pratiche locali, figlie di antichi saperi e secolari tradizioni rivelatesi sostenibili e sane; dall’altra si prefigge di integrare le migliori tecnologie che la scienza offre per un percorso di sviluppo sostenibile a tutto tondo». Dalle dichiarazioni di intenti alla realtà dei fatti. L’Angola, quasi 22 milioni di abitanti e PIL pro capite di 7800 dollari, nonostante un significativo incremento del 12% del PIL nominale e un calo dell’inflazione al 9%, rimane uno dei Paesi africani con la più alta percentuale di popolazione al di sotto della soglia di povertà e con il più alto tasso di mortalità infantile.

Secondo lo Hdi (Indice di sviluppo umano) delle Nazioni Unite, aggiornato al 2013, il 54% della popolazione vive con meno dell’equivalente di un dollaro e 25 centesimi al giorno. Il dato stride non poco se si pensa che l’Angola è ai primissimi posti nella classifica dei paesi dell’Africa Subsahariana più ricchi. E che tale risultato è stato raggiunto in poco più di un decennio dalla fine della guerra civile, 1975/2002, tra MPLA (Movimento Popolare per la Liberazione dell’Angola) e UNITA (Unione Nazionale per l’Indipendenza Totale dell’Angola).

Al termine del conflitto l’inflazione toccava il 98%. L’economia poggia le sue basi, oltre che sul petrolio, sulla produzione di diamanti, quarta al mondo, e altre risorse naturali. Settore di nessun conto l’industria alimentare, fattore che costringe a dipendere totalmente dalle importazioni e dagli aiuti umanitari. Nel piano governativo di stabilizzazione macroeconomica, programmato fino al 2025, rientrano lo sviluppo del potenziale rurale e del manifatturiero, il minerario non petrolifero, la sanità e la formazione. Il 2015 dovrebbe segnare, tuttavia, l’uscita dell’Angola dalla lista delle quarantotto nazioni con i più bassi indicatori di sviluppo socio – economico. Il Paese rimane al posto numero 157 su 174 del

Corruption perception index (Cpi) di Transparency International, per via della forte corruzione e dell’ampia disinvoltura nelle spese.
Il quadro angolano tracciato dal nostro Ministero degli Esteri annota «Tale elemento ha inciso negativamente sulla ripartizione delle ingenti entrate economiche, che non hanno portato alla creazione di un benessere diffuso, ma estremamente circoscritto». Circoscritto anche al presidente José Eduardo dos Santos, MPLA, in carica dal 1979, e alla sua corte politica. Nel Rapporto 2014/2105, Amnesty International muove ai poteri locali le accuse di limitazioni di libertà di associazione e riunione, uccisioni illegali di cittadini da parte delle forze di sicurezza, arresti e processi contro la libertà di espressione, sparizioni forzate. C’è ancora bisogno di saggi e di sapienti all’ombra del baobab. Ma di quello vero, fuori dalla retorica dell’Expo.

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