«Sono stato costretto, nel 2013, a contrarre un mutuo di 30 mila euro, per sopravvivere e per continuare a venire a lavorare, perché non sono mai stato assente un giorno. Ma i soldi sono terminati e ora mi ritrovo pieno di debiti. Ho esaurito tutte le risorse economiche di cui disponevo e adesso ho difficoltà a mantenere i miei figli, tra cui uno disabile, a cui non riesco più ad assicurare l’assistenza necessaria. L’altro giorno è dovuta venire mia suocera da Salerno a portare un po’ di pasta da mettere nei piatti in tavola e i contanti necessari per pagare qualche bolletta, altrimenti ci avrebbero staccato anche la corrente elettrica».

È storia di disperazione quella di Andrea Civitarese, di Casalbordino (Ch), ricercatore del centro Cotir di Vasto (Ch), i cui 27 dipendenti sono allo stremo. Da due anni non percepiscono lo stipendio e così da ieri sciopero della fame e braccia incrociate, con blocco di tutte le attività. Sono saliti sul tetto della palazzina dove operano e alcuni di loro sono rimasti a presidiare la sede, anche durante la notte. «La protesta andrà avanti ad oltranza», promettono.

«La Regione – recita una lettera inviata da Fai Cisl e Flai Cgil al presidente della giunta abruzzese Luciano D’Alfonso, all’assessore all’Agricoltura Dino Pepe e al prefetto di Chieti, Antonio Corona – continua a sottovalutare la drammatica condizione in cui versano i lavoratori. Come organizzazioni sindacali non possiamo che censurare l’atteggiamento irresponsabile della Regione, che ormai da oltre 5 anni disattende gli impegni presi. Non possiamo non censurare – continuano – il comportamento assolutamente inadeguato dei politici rispetto alla gravità della situazione: da tempo tengono appesi i lavoratori del Cotir a fantomatiche promesse di positive soluzioni della vertenza che non hanno mai visto la luce».

Il Cotir è stato creato per analizzare tutti gli aspetti collegati all’irrigazione sul territorio italiano e nel bacino del Mediterraneo. Effettua studi sulle risorse naturali, la conservazione ed il miglioramento del paesaggio, sui modelli idrogeologici, sulle colture, anche su quelle che producono biomassa per avere energia rinnovabile e biodiesel. In sostanza si occupa di agricoltura, ambiente e gestione dell’acqua. E in una realtà che sull’agroalimentare sta puntando il proprio futuro, dovrebbe rappresentare un punto di riferimento. Invece è stato abbandonato: da lungo tempo annaspa, cercando la salvezza, tra una contestazione e l’altra.

Prima con l’amministrazione regionale di centrodestra, ora con quella di centrosinistra: solo chiacchiere. «Una classe dirigente inconcludente – afferma Marilena Di Tullio, ricercatrice e rappresentante Cgil -, che ha portato allo stremo madri e padri di famiglia. E che ci ha costretto a ricorrere a misure di protesta estrema, dannosi anche per la nostra salute, pur di vedere affermato qualche diritto. È dal lontano 2011 che ci chiedono di resistere e di stringere denti e cinghia perché stanno elaborando la legge di riordino dei centri di ricerca».
Ma di questa legge, al momento, si è soltanto parlato. Esiste? «Con l’avvento del governo D’Alfonso – aggiunge Elvio Di Paolo, ricercatore e rappresentante Cisl – siamo stati messi in liquidazione, con l’obiettivo di costituire un centro unico di ricerca regionale. Il piano di riassetto avrebbe dovuto essere illustrato alle parti sociali e ai lavoratori entro lo scorso mese di maggio, poi entro giugno, poi luglio, quindi agosto, ottobre… Si è andati di settimana in settimana fino a dicembre… Del piano non c’è traccia. Nel frattempo però il nostro disagio, economico e familiare, è cresciuto fino a diventare insopportabile».

«Centro occupato», recita un cartello sui cancelli del Cotir, mentre all’interno ci sono un pupazzo impiccato e quella enorme… «Palla di Natale». «Dietro l’anno di parole dei commissari – viene ancora evidenziato – vogliamo capire di concreto che cosa c’è: da un pezzo hanno promesso risorse e investitori privati per rilanciare la struttura». «Mi sono dovuto trovare impieghi alternativi, che svolgo nel tempo libero – racconta Armando Mammarella, ricercatore della provincia di Campobasso – per continuare a pagarmi le spese per venire a lavorare qui. Perché ogni giorno devo percorrere 150 chilometri e non avevo denaro, nulla… E perché il mio è l’unico reddito di una famiglia che non posso lasciar morire di stenti».