Quando cala la sera e dopo una girandola di rinvii e una giostra di incontri il Consiglio si riunisce in seduta plenaria, Giuseppe Conte è pronto a cantare vittoria.

Prudente, evita di stappare lo champagne in anticipo. Sa che l’ultima parola non è ancora detta ma sente di avere il risultato a portata di mano. Sul fronte dei quattrini il premier italiano ha tutte le ragioni di essere soddisfatto. La quota dei sussidi, nella quarta bozza presentata dal presidente del Consiglio europeo Michel, è sensibilmente scesa, quella del prestito si è invece gonfiata. In sé non è una buona notizia, vuol dire che il peso del Recovery sul debito pubblico italiano aumenta. Ma in termini di cassa è una ottima novità. L’Italia, almeno secondo le fonti direttamente interessate, dovrebbe ottenere una cifra maggiore del previsto, intorno ai 205 miliardi invece dei previsti 170: 80 di sovvenzioni, 120-125 di prestito.

Secondo i calcoli del Mef, col quale Conte si è tenuto costantemente in contatto, un simile esito dovrebbe rendere possibile evitare di far ricorso al Mes per affrontare la spesa corrente. Per il governo significherebbe sgombrare la strada dall’ostacolo più immediato, se non dal principale.

Il ritorno trionfale, in ogni caso, è già certo ed è in una certa misura obbligato. Dopo la battaglia di Bruxelles tutti si dichiareranno vincitori e più che mai il premier di Roma, che già rivendica, fra le righe ma neppure troppo, il merito di aver imposto con la sua fermezza la svolta che lui stesso aveva annunciato, pur ancora con cautela, essersi «prodotta nella notte». Di fronte alle telecamere, Conte si è mostrato tassativo e perentorio: «Non permetterò mai che un singolo Paese possa avere un sistema di controllo. Questo spetta agli organi comunitari».

Cioè alla Commissione, perché il vero oggetto della contesa è proprio a chi spetti l’ultima parola: se al Consiglio, a maggioranza qualificata, o alla Commissione. In realtà nella quarta bozza Michel la formula è ambigua. Non è affatto chiaro a chi spetti la decisione finale in caso di «gravi inadempienze» rispetto al tracciato concordato. Ma, appunto, il ritorno con la fronte cinta d’alloro è comunque garantito come lo è la reazione dell’opposizione, che aspetterà qualche giorno per far sbollire gli entusiasmi, poi comincerà a fare le pulci all’intesa raggiunta.

Sin qui è propaganda e repertorio. Ma il durissimo vertice di Bruxelles offre a Conte un’occasione irripetibile per proiettarsi al centro dello scenario politico italiano in questa fase. L’Europa che stanno disegnando soprattutto Germania e Francia è certamente diversa da quella pre-Covid. La maggioranza messa insieme per caso nello scorso agosto ha ora tutte le chances di presentarsi come sponda italiana di questa «nuova Europa», per poi provare a chiudere la destra sovranista nel ghetto popoloso ma politicamente angusto nel quale è già stata isolata Marine Le Pen in Francia. Leader e collante di questa maggioranza volta a trasformarsi in coalizione sotto il segno della nuova Europa sarebbe giocoforza Conte.

Non è una strada in discesa. Il premier e la maggioranza dovranno superare una prova dall’esito tutt’altro che scontato. A Bruxelles uno dei problemi maggiori per l’Italia è stata la mancanza di un Piano di rilancio già pronto. Il ministero dell’Economia fa sapere di aver comunque fatto pervenire a Bruxelles, sia pur informalmente, la sua bozza, che deve ancora essere sottoposta al parlamento italiano. Ma il problema principale non è questo: è la genericità di un Piano pieno di ottime intenzioni su troppi fronti, tanto da richiedere oltre 140 pagine solo per essere esposto. Non è ciò che chiede l’Europa e soprattutto non è ciò che serve.

In mezzo a quella messe di ipotesi il governo dovrà sceglierne alcune, trasformarle in un progetto preciso con tanto di tempistica, intervenire drasticamente sulla macchina dello Stato per renderla capace di trasformare in opere quei progetti. La sfida che aspetta Conte è tutta qui: nel come riuscirà a spendere i fondi messi a disposizione ieri dall’Europa.