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All’improvviso Giorgio Pacorig

All’improvviso Giorgio PacorigGiorgio Pacorig al pianoforte bruciato – (foto Luca A. D'Agostino/Phocus Agency

Jazz Il 7 settembre a Pordenone verrà presentato un vinile speciale con musiche del pianista friulano

Pubblicato circa un mese faEdizione del 17 agosto 2024

A Pordenone, Casa Furlan, il 7 settembre verrà presentato un oggetto d’arte singolare. Si tratta di un vinile a tiratura limitata con musiche suonate da Giorgio Pacorig su due pianoforti nelle sale della Fondazione Ado Furlan, al Castello di Spilimbergo (PN), uno dei quali è una scultura sonora ad opera dell’artista pordenonese Massimo Poldelmengo che lo ha sottoposto ad una ignizione e che è l’ideatore del progetto, iniziato nel 2020. Nelle due facciate del disco altrettante improvvisazioni di sette minuti ciascuna. Ci siamo fatti raccontare direttamente dal pianista come è nata e come si è sviluppata Opera al nero. Una occasione per parlare di musica, arte, improvvisazione.
«Questo lavoro è partito da un’idea di Massimo Poldelmengo, artista che ha voluto coinvolgere me e il flautista Massimo De Mattia in una performance dal vivo in cui la particolarità era che dovevamo suonare della musica improvvisata con a disposizione due pianoforti: un Pleyel appena restaurato di fine Ottocento con un bel suono antico e un altro pianoforte che in realtà è un ex pianoforte perché è stato bruciato, ha delle corde rotte ed è scordatissimo. In pratica un pianoforte e un “produttore di suoni”. L’idea di Poldelmengo era quella di farci improvvisare passando da uno strumento all’altro registrando dei pezzi da sette minuti. Questa era l’unica indicazione che avevamo. Poldelmengo mi ha lasciato totale libertà per quanto riguarda la musica. Prima di iniziare a suonare mi ha invece fatto vedere delle sue opere pittoriche, in particolare una serie di disegni in bianco e nero, opere con le quali mi sento in completa sintonia; una di queste sarà usata per la copertina del disco. Però il giorno della registrazione, per la quale era prevista una prima sessione di registrazioni solo con il fonico e poi una performance con il pubblico, De Mattia stava male e perciò mi sono ritrovato a fare il lavoro da solo; questo ha cambiato le carte in tavola perché essendo i due pianoforti posizionati a una decina di passi tra loro io avevo immaginato che mentre mi sarei spostato tra i due De Mattia avrebbe potuto riempire quegli spazi di silenzio. Allora ho dovuto affrontare questa nuova problematica e così durante il giorno ho registrato varie take cercando soprattutto di capire come potevo con l’elettronica catturare i suoni prodotti dal pianoforte “bruciato” mettendoli in loop, usando reverse e qualche piccolo effetto elettronico. Ho insomma sperimentato diverse soluzioni. Poi al concerto serale ho suonato tre blocchi da sette minuti l’uno ed è stato in pratica il sunto di tutta la giornata e infatti il materiale pubblicato proviene interamente dalla performance dal vivo. Insomma ho prima sperimentato sia idee che mi ero preparato che altre inventate al momento in particolare ispirate dalle sonorità del piano bruciato; queste sono servite come una sorta di “partitura” da cui partire per costruire la performance».
Per quanto riguarda il Pleyel tu potevi credibilmente immaginarne il suono, anche se utilizzando su di esso, come hai fatto, oggetti e palline ti sei esposto a un grado di indeterminatezza, diciamo, controllata, ma invece del piano bruciato ignoravi completamente il suono che avrebbe prodotto…
Sì è vero, anche se il timbro del Pleyel è un timbro veramente antico e suonandolo mi sono sorpreso, il suo timbro ti porta verso una direzione, perché evoca il mondo sonoro degli impressionisti francesi, Debussy, Ravel. Dall’altro lato invece avevo uno strumento senza nessuna possibilità di controllo e quando questo succede io godo! Mi spiego meglio: quando suono sia da solo che con altri musicisti e succede qualcosa di inatteso e sorprendente questo mi fa stare bene! Questo mi porta dentro il suono, mi cattura e io lo cerco sempre in tutti i contesti. Quello strumento era un generatore di suoni continuo! Una continua sorpresa! È stato molto facile entrare in questa sonorità proprio per il mio tipo di approccio alla musica.
Come ti sorprendi invece se suoni un pianoforte da concerto moderno. Quali strategie adotti?
Quando suono in piano solo in genere preparo lo strumento usando palline di gomma che faccio rimbalzare sulla cordiera oppure pezzi di legno e altri espedienti che mi servono per uscire dal consueto. Poi in realtà quello che bisogna fare è entrare nel suono e allora le sorprese avvengono anche semplicemente suonando. Essendo all’interno di un processo nel quale si è coinvolti completamente ci sono continuamente dei ganci per andare altrove, per spostarsi, però non è sempre facile e immediato entrare dentro il suono… non è facile da spiegare questa cosa lo so…
Quando suoni un piano acustico oppure uno elettrico hai lo stesso approccio?
Direi lo stesso approccio perché cerco sempre di uscire dal consueto. Ad esempio quando suono il Rhodes mi capita di usare il suo suono normale ma poi spesso vado in cerca di usare degli effetti che portino la sonorità da un’altra parte in modo da avere diversi punti di vista sulla musica che scaturisce.
Tu suoni anche in contesti dove l’improvvisazione è all’interno di strutture definite, come tipicamente le formazioni jazz, che differenze e affinità ci sono?
In quei contesti c’è il materiale di partenza che segna la strada così come la sonorità del gruppo. All’interno di questi paletti io cerco quanto più possibile di fare emergere il mio tipo di approccio, per quanto non sia sempre facile, e dunque la mia personalità al di là del linguaggio che in quel momento sto usando. Il mio approccio alla musica in realtà tiene conto fino a un certo punto del fatto di dovere aderire a un linguaggio perché anche se storicizzati questi linguaggi sono usati oggi e devono esprimere quello che sei mentre li suoni, la contemporaneità. In generale cerco di trovare un compromesso che mi permetta di esprimere me stesso senza snaturare la musica che sto suonando. Per quanto mi trovi meglio nella dimensione totalmente improvvisata spesso è più facile suonare in situazioni più strutturate perché, ad esempio, se sei in una formazione numerosa potresti avere a che fare con musicisti con i quali non sempre è possibile trovare una intenzione comune. Non a caso nella musica improvvisata cerchi di suonare con chi condivide la tua stessa visione. Se sei in un contesto strutturato sai già dove andare a parare in caso di incomprensioni, hai maggiori possibilità di trovare zone al riparo.
Quanto ha inciso il rapporto con le altre musiche nella tua formazione e nella tua attività di improvvisatore?
Uno dei motivi per i quali mi piace suonare musica improvvisata è portare nella musica la mia storia e la mia vita. Ci sono ad esempio molti musicisti che lavorano solo sull’aspetto timbrico e lo fanno molto bene però limitando il loro territorio a queste specificità. Per me invece suonare è un momento di liberazione durante il quale cerco di attingere a tutto quello che mi viene di fare sul momento. Quando suono, tutto quello che ho ascoltato e interiorizzato ritorna ad emergere; ad esempio, dato che ho studiato Bach questo ritorna ma è una rielaborazione di quel mondo sonoro. Allo stesso modo succede con il rock e la musica elettronica. Per me è importante continuare a leggere e ascoltare nuova musica e suonare in contesti che apparentemente sono distanti dalla musica improvvisata perché sono curioso e mi piace esplorare altri territori e tutte queste esperienze poi ritornano fuori. È una sensazione di grande libertà potere andare in qualsiasi direzione io voglia.

LA BIOGRAFIA
Giorgio Pacorig (Gorizia, 1970) è un pianista con una lunga carriera che lo ha visto operare nel campo della musica improvvisata e del jazz ma anche nel pop d’autore come la lunga collaborazione con la concittadina Elisa. Insegna al Conservatorio di Trieste e ha inciso più di settanta dischi. Notevole la sua attività con orchestre di improvvisazione come Phophonix e Orchestra Senza Confini. Tra le numerose formazioni del miglior avant-jazz italiano nelle quali suona attualmente sono da segnalare il collettivo afro-prog-jazz Maistah Aphrica, il quintetto Eternal Love di Roberto Ottaviano, il sestetto Pipe Dream con il violoncellista Hank Roberts e il trio con Zeno De Rossi e Francesco Bigoni. Nell’ambito della musica improvvisata molte delle sue incisioni si possono trovare nel catalogo Setola di Maiale come l’ultimo Così com’è, in duo con il batterista Stefano Giust.

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