«Bruxelles non sarà più come prima» ha ribadito il primo ministro belga Charles Michel, esattamente come un anno fa, dopo gli attentati del 22 marzo 2016. A un anno di distanza dalle esplosioni all’aeroporto internazionale di Zaventem e alla stazione della metropolitana di Maelbeek che hanno provocato la morte di 35 persone e 340 feriti, la minaccia di altri attentati terroristici resta alta, anzi altissima.

A confermarlo è il ministro degli esteri belga Didier Reydenrs che dai microfoni della radio pubblica Rtbf conferma che la «minaccia jihadista è sempre presente» aggiungendo che oggi «ci sono meno partenze di potenziali combattenti per la Siria, ma che questo non vuol dire che queste persone non possano colpire». Quasi a confermare che il contesto sociale, culturale ed economico che ha generato i fenomeni di radicalizzazione di matrice jihadista è ancora presente, nonostante gli sforzi repressivi delle forze di polizia e preventivi con l’apertura di servizi comunali di de-radicalizzazione.

Con gli attentati di Parigi e Bruxelles, i riflettori si sono accesi su Molenbeek come base logistica della cellula jihadista che ha seminato morte e terrore nel cuore dell’Europa. E proprio da Molenbeek partirà uno dei tre cortei che nel pomeriggio di oggi attraverserà la città per congiungersi (intorno alle ore 16) nella centralissima piazza della Bourse, dove un anno prima un memoriale era stato improvvisato per commemorare le vittime degli attentati.

In quei giorni l’opinione pubblica scopriva una Bruxelles diversa da quella notoriamente raccontata dalle cronache della politica europea, ma anche quanto le istituzioni comunitarie possano essere distanti dai quartieri popolari della propria capitale. I cittadini di Bruxelles si risvegliano vulnerabili, disposti a rinunciare a parte delle proprie libertà personali in nome della sicurezza. A venir meno è stato lo spirito naif, spontaneo e vivace, con un tocco di surrealismo, che da sempre contraddistingue la capitale belga. A creare sgomento è la percezione che alcuni dei propri concittadini (molti dei terroristi sono nati e cresciuti a Bruxelles) siano ancora pronti a colpire con l’unico scopo di fare quante più vittime possibili. Un aspetto che ha indubbiamente scioccato molti abitanti di Bruxelles, e fra loro quanti non hanno mai oltrepassato il canale cittadino, frontiera geografica e sociale della città, che separa i ricchi quartieri a sud, dove hanno sede le Istituzioni europee, e il nord decisamente più popolare e a forte concentrazione di cittadini di religione musulmana.

La comunità musulmana si è anch’essa risvegliata fragile e spaesata, incapace di smarcarsi dall’assimilazione con la retorica jihadista secondo le modalità di reazione che ci si attendeva, con plateali manifestazioni di piazza, e che forse non le sono proprie. La condanna al terrorismo è stata comunque chiara e netta, spesso confinata più nella sfera privata (e comunitaria) che in quella pubblica. E iniziative come la giornate porte aperte delle moschee non hanno avuto risalto mediatico.

Con gli attentati terroristici di Parigi e di Bruxelles sono poi arrivati i blindati dell’esercito nelle piazze e i militari, più di mille e pesantemente armati, di pattuglia fra le strade e nelle stazioni della metropolitana. Lo stato d’emergenza è attivo oramai ininterrottamente da quasi un anno e mezzo e l’evacuazione di una sala da concerto per un (falso) allarme bomba quasi non fa più notizia.

A ricordare che si vive in una situazione del tutto eccezionale sono i rapporti di organizzazioni non governative, come Human rights watch, che a più riprese hanno denunciato abusi fisici e verbali verso cittadini sospettati di essersi radicalizzati. Dall’altro lato sono tante le iniziative, del mondo associativo e della cultura, che affrontano tematiche, non più tabù, come la partenza di giovani europei per la jihad o la ricchezza delle nostre attuali società, cosiddette, multiculturali.

Uno stato di polizia permane e l’assimilazione del giovane europeo d’origine nord-africana al profilo tipo del terrorista, rischia di esasperare gli animi e di alimentare la retorica jihadista che tanto fascino esercita fra i giovani dei quartieri popolari.