Da anni Sylvain George porta la sua cinepresa là dove dei gruppi di persone resistono al neoliberismo. Dai suoi film infuocati – Qu’ils reposent en révolte tra i migranti nella «jungle» di Calais, Vers Madrid tra gli indignados del Movimento 15-M – emerge un’umanità che è l’esatto contrario di quella che appare nei reportage: non un problema, ma una soluzione. Questo antifascista viscerale non ha partecipato al fronte repubblicano per Macron. Perché?

 

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Cosa si aspettava da questa tornata elettorale?

Niente. È legata ad un modello politico al quale non aderisco: la democrazia rappresentativa. Per me si tratta di un’ossimoro. La rappresentazione è intrisecamente oligarchica e inegalitaria. In Francia in particolare la politica è delegata a una classe di tecnici. Il potere popolare è confiscato. La voce, le aspirazioni, i desideri di esser altro di milioni di individui sono strutturalmente ridotti al silenzio o disqualificati. E l’elezione presidenziale è la forma estrema di questo potere che spossessa il popolo della sovranità. Quella appena svoltasi si è distinta per un livello inedito di occultamento. C’è stata un’assenza quasi totale di scambi di idee. È per questo che come individuo e come cineasta cerco di concentrarmi su forme minoritarie di agire poetico e politico: i percorsi migratori, i movimenti come quello di Occupy o Nuit débout: pianticelle che spaccano l’asfalto.

E della crisi dei partiti tradizionali, cosa pensa?

Il Front national è riuscito in effetti a farsi passare per un partito antisistema e Marine Le Pen per una porta parola del popolo. Ma si tratta di marketing. Anche Macron ha capito e preso a tempo la misura della crisi dei partiti. Nel suo caso, la strategia di farsi passare per un « ufo » fuori dal sistema è ancora più impressionante. Tutti sanno che è stato uno dei cervelli del governo Hollande e che è il rappresentante della nuova oligarchia neoliberista che, staccandosi dal tessuto sociale nazionale, porta con se pezzi di classe media: quelli che hanno capitale culturale e materiale sufficiente per approfittare delle riforme.

Macron afferma di essere diverso da Hollande.

Si è detto contrario alla «perdita della nazionalità» per reati di terrorismo, gli va riconosciuto. Per il resto il suo modello sociale è lo stesso.

Un collettivo di cineasti ha invitato a votare per Macron, contro Le Pen. Perché non ha aderito all’appello?

Il grosso dei firmatari sono cineasti di centrosinistra, lavorano in una situazione confortevole, appartengono alla borghesia media e grande, non sono stati toccati dalle riforme di Hollande, non lo saranno da quelle di Macron. Il «Fronte Repubblicano» contro il Front national maschera appena, dietro l’antifascismo, l’interesse di classe.

Nonostante la pressione, l’astensione sommata al voto nullo ha raggiunto il 36%.

Non si capisce la riluttanza a fare fronte se non si tiene presente la politica che da decenni domina incontrastata. E non c’è stato bisogno di aspettare l’FN perché all’arricchimento sfrenato di pochi e all’impoverimento di molti si aggiungesse la stigmatizzazione di quelli che sembrano frenare il progresso (gli immigrati, i giovani, i disoccupati). Chi non ha dichiarato di votare Macron ha sopportato una pressione non nuova, ma che non è mai stata così violenta. Era apparsa con gli eventi di «Charlie Hebdo» e si manifesta come un’intimazione a esprimere la propria fedeltà repubblicana. In caso di rifiuto si è automaticamente ascritti alla lista dei terroristi o dei collaboratori. Ogni pensiero critico è a priori squalificato perché sospetto di complicità col nemico.

Cosa ci aspetta?

Il fatto che il presidente sia giovane illude che ci sarà un cambiamento. Io credo che avremo un prolungamento del passato. La sua prima scelta da presidente eletto – parlare davanti al museo del Louvre – confermare il sospetto che la sua azione si iscriverà nel segno della conservazione: il liberismo che abbiamo conosciuto al quale forse sarà aggiunta una politica di pura cosmesi sulle periferie e le nuove tecnologie. I problemi sono ben altri. Sono immensi, al pari delle ineguaglianze sociali, e delle tante gioventù « suicidate » in questi anni, per parafrasare un bel testo di Artaud. Questi temi di fondo, c’è da scommetterci, non saranno toccati.