Un bambino, figlio di una benestante famiglia che passa l’estate in una casa al mare – luogo spoglio, contraddittoriamente freddo, sfondo evocativo di tutto il film – scompare una notte mentre gioca in spiaggia. È quanto accade all’inizio di Piedra Noche di Iván Fund, regista argentino nato nel 1984, presentato nel programma delle Giornate degli autori alla Mostra di Venezia 78.

LA PREMESSA non ha seguito nei suoi sviluppi se non in chi è rimasto ad aspettare: nulla sapremo del piccolo, mentre il film traccia il percorso doloroso del lutto genitoriale, e sceglie di farlo seguendo con taglio «documentaristico» – l’ormai onnipresente camera a mano, inquadrature à la sauvette e numerosi fuori fuoco – una storia che sembra dirigersi piuttosto, qui la sfida più interessante, verso il genere. Sì, perché un tuttofare del posto, interpretato dal magnetico cineasta cileno Alfredo Castro che impreziosisce un buon cast (già protagonista indimenticabile di Desde allá di Lorenzo Vigas, primo film latinoamericano nella storia a vincere il Leone d’oro nel 2015), avverte che i pescatori locali hanno una spiegazione ben precisa per le stranezze che accadono nella regione, e forse chissà anche per la scomparsa del bambino: la presenza, dicono, di una creatura misteriosa che abita gli abissi, e che si rivela assai di rado; una specie di mostro di Loch Ness, che secondo alcuni potrebbe essere una leggenda inventata per attirare i turisti, anche se altri giurano di averlo visto.

Fund si fa ingolosire dalla potenza allegorica del «mostro», il lutto indicibile che si personifica. Già visto al cinema, anche recentemente, nelle più diverse declinazioni: dall’horror australiano di Jennifer Kent, Babadook, al ben più significativo esempio di Leviathan del russo Andrej Zvjagincev.

«PIEDRA NOCHE» prende qualcosa da entrambi i versanti: dal genere eredita il topos del mostro fuori campo; dal lavoro autoriale di Zvjagincev attinge per proporre un sottotesto allegorico che non si fermi soltanto ai suoi personaggi, ma che abbia l’ambizione di riverberarsi anche sul paese innominato in cui tutto si svolge, e forse tutto un continente, che insegue chimere di generazione in generazione, fino alla follia. La stessa follia che trascina i due genitori, rimasti senza parole per dire il proprio dolore, a rincorrere sulla spiaggia la creatura che credono di vedere, abbandonata la speranza e persino la disperazione. Tutto racchiuso in novanta minuti nei quali si segue con ammirazione il lavoro dell’autore, ma difficilmente si riesce infine a dimenticarsene, ciò che consentirebbe di partecipare emotivamente al dramma senza accontentarsi di annotare soluzioni registiche ben riuscite.