Tratto comune a tutto il jazz rock afroamericano è la costante della batteria. Unico strumento presente in gruppi, leader, dischi e concerti. La batteria marca lo spazio, batte il tempo, spezzato o regolare. Parlando di Miles Davis non poteva mancare. Bene ha fatto il Gruppo Nanou, gruppo contemporaneo fra i più freschi della scena italiana, a intrecciare in We want Miles-In a silent way, corpi, colori, movimenti, entrate e uscite dei danzatori con l’avvincente crepitio delle percussioni di Bruno Dorella, nel suo originale omaggio al musicista di Alton, approdato (dopo il debutto a New York e il passaggio a Ravenna) a Milano per Danae Festival. Marco Valerio Amico e Rhuena Bracci imprigionano il suono di Davis (una tromba che solo alla fine sgorga liberatoria) e danno vita a una incalzante jam session. Dove Davis (Marco Maretti), novello Apollo, evoca a vita nuova le sue muse (Carolina Moretti, Marina Bertoni, la stessa Bracci). La scena è un pentagramma sperimentale e uno spazio mentale, un solco che sprigiona energia, potenza, improvvisazioni. Per una allegoria davisiana informale, decisamente free.