«Sembra proprio un terribile attentato». Donald Trump non si smentisce e di fronte all’esplosione che ha devastato Beirut non ha perso tempo a dare la sua versione, corroborata a dir suo dagli esperti della Casa bianca: nessun incidente, si tratta di un attacco deliberato. Non si smentisce neppure il Pentagono che, come è ormai solito fare, è dovuto intervenire per dire che, no, non è stato un attentato: fonti della Difesa Usa hanno detto alla Bbc che «non ci sono indicazioni di attori nella regione interessati in questa fase a un attacco di così vasta portata».

Nessuna parola è stata invece dedicata da Trump alla situazione del paese che le sanzioni di Washington nell’ambito del cosiddetto Ceasar Act – dirette alla Siria e a chiunque abbia rapporti con Damasco – non hanno fatto che aggravare. Il suo segretario di Stato Pompeo ha offerto un generico sostegno a parole, meno concreto di quello di tanti altri governi – alleati e rivali – nelle ultime 24 ore.

Dalla Turchia all’Iran, passando per il Golfo e l’Europa, ieri era una gara di solidarietà verso una nazione in ginocchio, costretta a rivolgersi nei mesi scorsi alle ricette lacrime e sangue dell’Fmi per non affondare.

Da Teheran è giunta subito un’offerta di «aiuti medici, cure ai feriti e altra assistenza medica necessaria», ha detto il presidente Rohani. Re Abdallah di Giordania ha messo a disposizione un ospedale militare da campo, come fatto dal presidente turco Erdogan in una telefonata all’omologo libanese Aoun. L’Egitto ne ha già messo in piedi uno, l’Arabia saudita ne ha promesso un altro. Due aerei militari pieni di aiuti sono in partenza dalla Tunisia.

Dal Golfo sono già arrivate 40 tonnellate di attrezzature mediche, spedite dagli Emirati arabi, altre 15 sono in procinto di partire dalla Francia, l’ex mandatario coloniale che in Libano mantiene ancora interessi consistenti. Tanto che anche il presidente Macron è pronto a partire, sarà a Beirut oggi.

Sul fronte europeo, la Ue ha attivato il Meccanismo di protezione civile «per il dispiegamento urgente di oltre 100 vigili del fuoco, veicoli, unità cinofile, personale specializzato nella ricerca e il salvataggio in contesti urbani». E, aggiunge Bruxelles, al Libano sarà fornito sostegno per valutare la portata dei danni. Si muove anche Mosca: invierà cinque aerei con a bordo un ospedale da campo e medici.

Solidarietà arriva anche dalla Palestina, dal presidente dell’Anp Abbas e dal leader di Hamas Haniyeh. E giunge da Israele con il ministro della Difesa Gantz che fa sapere di avere offerto, tramite canali diplomatici, assistenza umanitaria al Libano, invaso l’ultima volta nel 2006 e colpito con l’artiglieria a sud fino a pochi giorni fa.

E poi c’è l’Italia, presente in Libano con il contingente militare nell’ambito della missione Unifil. La Protezione civile farà partire due velivoli C130 dell’Aeronautica con a bordo otto tonnellate di materiale sanitario e squadre dei vigili del fuoco.

Ma tutta l’attenzione l’ha attirata Manlio Di Stefano, sottosegretario agli Esteri del M5S che in un tweet ha mandato «un abbraccio ai nostri amici libici». La Libia, il governo italiano, proprio non riesce a togliersela dalla testa. Di Stefano ha subito corretto, rivendicando il suo lungo lavoro nell’area Mena. Che andrebbe però arricchito con lo studio della storia: appena un anno fa vantava per l’Italia l’assenza di «scheletri nell’armadio, non abbiamo una tradizione coloniale, non abbiamo mai sganciato bombe su nessuno e non abbiamo messo il cappio al collo a nessuna economia». Potremmo chiedere agli amici libici.