Alla riunione del Capranichetta, alle 12, arrivano in tanti. Parlamentari e capigruppo di Art.1, altri rimasti nel misto (il senatore Stefàno, per esempio); il gruppo di punta di Campo progressista (l’ex deputato Tabacci, l’ex ministro Catania); molti amministratori. Apre Giuliano Pisapia. Alla vigilia delle primarie Pd l’ex sindaco illustra la sua «ultima chiamata» a Renzi. L’aveva anticipata il Corriere della sera, ieri lui stesso l’ha consegnata a Repubblica. «Se le primarie lo confermeranno segretario del Pd, a Renzi resta meno di un mese per dare un segnale chiaro: cambiare la legge elettorale e costruire una coalizione. Altrimenti il centrosinistra andrà incontro a una sconfitta  generazionale, perché ci vorrà una generazione prima che si possa ricostruire la fiducia e la partecipazione del proprio elettorato».

Pisapia non mette paletti sulla legge elettorale: meglio il Mattarellum, dice, ma va bene anche la proposta Pd, collegi e premio di maggioranza, «purché si chiarisca se il premio va alla lista o alla coalizione. Serve il secondo se si vuole mettere in campo un’alleanza larga di centrosinistra».

LA PROPOSTA È CHIARA, gli interventi la approvano uno dopo l’altro: Gotor, Zoggia, Tabacci, Catania, Smeriglio, tutti schierati su un fronte che fa sudare freddo a molti della Ditta: quello della mano tesa al nemico Renzi. Ma Pisapia, nelle conclusioni, aggiunge un passaggio cruciale: «In ogni caso noi alle elezioni ci saremo».
IL MESSAGGIO È:  COMUNQUE risponda Renzi, alle politiche ci sarà  una lista ispirata a un nuovo centrosinistra. Dal lato Pd, nella giornata in cui i candidati si preparano al primo e unico confronto tv delle primarie – va in onda in serata su Sky ma il candidato favorito non ha fatto nulla per renderlo un evento, geremiadi dagli sfidanti – le risposte sono perplesse.

FIN QUI RENZI NON HA ALCUNA intenzione di cedere al premio alla coalizione. Ma un no tondo all’alleanza fin qui lo ha lasciato pronunciare solo al «cattivo» Matteo Orfini. Il «buono» Maurizio Martina,  l’uomo che invece ha il compito di dialogare con la sinistra,  a Pisapia infatti risponde con cautela: «Unire il mondo della sinistra su basi nuove è un tema per tutti», ma – argomenta – si possono unire esperienze «che offrono una comune prospettiva. È più difficile farlo quando si sono prodotte divisioni che hanno portato all’uscita dal progetto con cui ora  ci si vorrebbe alleare». Tradotto: con  Pisapia si può discutere, con D’Alema e Bersani no. Comunque, conclude Martina senza chiudere la porta, «anche noi non ci rassegniamo».

GLI ALTRI DUE CANDIDATI alle primarie masticano amaro. Per Michele Emiliano la proposta di Pisapia è «fantascienza», se vuole davvero l’alleanza «deve dare una mano contro Renzi e mandare a votare i suoi». Andrea Orlando, coalizionista convinto (ha appena ricevuto la benedizione di Prodi), manda avanti tutti i suoi, che in vario modo fraseggiano: «L’appello di Pisapia a Renzi è ammirevole anche se inutile. Pisapia come Orlando comprende che, senza la ricostruzione di una coalizione, le prossime elezioni vedranno il Pd pesantemente sconfitto».

UN’ANALISI CHE, PER LA VERITÀ, non dispiace affatto a Massimo D’Alema. Tanto più dopo i primi risultati delle presidenziali francesi. Il presidente di Italianieuropei lo scorso 25 aprile, sfilando a Milano al corteo della Liberazione accanto proprio a Pisapia, non si è lasciato sfuggire l’occasione di sottolineare che «a sinistra del Pd non c’è spazio per tre, quattro liste. Sarebbe un suicidio collettivo». D’Alema pensa all’unione con Campo progressista. Puntualmente ieri Mdp ha lanciato la proposta formale: il voto si avvicina, «Pisapia potrebbe essere il federatore dell’area di sinistra». Anche perché  oltre la poesia c’è la prosa: le soglie di sbarramento alle camere rischiano di attestarsi sul 5, secondo i desideri di Renzi e Berlusconi.

MA A SINISTRA DEL PD C’È davvero tanta roba, difficile – per ora – ridurla a uno. Dd’altro canto il «rischio Arcobaleno», ragiona Massimiliano Smeriglio, «e cioè rimettere insieme  la diaspora comunista degli anni 90, finirebbe per cacciarci in una ridotta».
Un rischio che non piace a nessuno correre.  Non è un caso che Nicola Fratoianni, leader di Sinistra italiana,  raccoglie l’invito di D’Alema, a chiunque fosse originariamente rivolto. Da posizioni lontane, ma pragmatiche. «Il punto è», risponde «come ci si presenta, su quale piattaforma e per fare cosa».