Al-Baghdadi è vivo e stringe alleanze militari. Un altro problema per il presidente Obama che solo due giorni fa aveva ordinato al suo staff di rivedere la strategia in Iraq e Siria: per sconfiggere l’Isis, dicono fonti governative Usa, la Casa Bianca ha chiesto di concentrarsi non solo sui raid aerei ma anche sul sostegno alle opposizioni moderate siriane perché centrale nella lotta al terrore resta la caduta di Bashar al-Assad. Quello per cui Turchia e Arabia Saudita strepitano da tempo: target non tanto il califfo al-Baghdadi, quanto il governo sciita di Damasco.

Eppure quelle opposizioni moderate – che la stessa intelligence statunitense ha classificato come inefficaci e controproducenti – hanno compiuto un nuovo passo falso. Avrebbero assistito ad un incontro tra leader dell’Isis e comandanti del Fronte al-Nusra e alla stipula di un accordo tra le due organizzazioni. A rivelarlo è un comandante dell’Esercito Libero Siriano, braccio armato della Coalizione Nazionale, stretto alleato Usa, Abu Musafer.

Il meeting avrebbe avuto luogo il 2 novembre scorso in una fattoria nel villaggio di Atareb, a ovest di Aleppo, in una zona controllata in parte dall’Els che avrebbe informalmente partecipato al meeting.

Secondo quanto riportato dal comandante, Isis e al-Nusra – dopo aver stipulato a settembre un patto di non aggressione – hanno siglato un’alleanza militare che prevede non solo la fine delle faide interne, ma anche operazioni congiunte contro i nemici comuni, ovvero kurdi siriani a nord e alcuni gruppi moderati minori, come il Fronte Rivoluzionario.

Per suggellare il patto, lo Stato Islamico avrebbe inviato ad al-Nusra un centinaio di propri miliziani per lanciare l’offensiva contro la comunità assediata di Khan al-Sunbul, nord della Siria.

Il califfato non frena la corsa e trova nuovo vigore dopo il messaggio audio fatto circolare in rete dal suo lader: dopo le voci che lo davano in fin di vita, il califfo al-Baghdadi ha voluto rassicurare i suoi tanti adepti. Ancora nessuna conferma ufficiale dell’autenticità del messaggio, ma la voce registrata è sicuramente molto simile a quella del leader islamista.

«Un vulcano di jihad», ha preannunciato nei 17 minuti di audio-messaggio Abu Bakr al-Baghdadi, che ha fatto appello ai «soldati dello Stato Islamico» perché mettano a fuoco e fiamme la terra, continuino a far crescere nuovi miliziani e si lancino contro i nuovi nemici.

Sì, perché ora nella lunga lista di avversari ci sarebbe anche un vecchio amico: nella registrazione il califfo chiede agli islamisti sauditi di condurre attacchi a Riyadh, contro quella petromonarchia che ha trascorso gli ultimi anni a finanziare ufficiosamente la nascita e lo sviluppo di gruppi estremisti sunniti in tutta la regione.

Oggi è un nemico, secondo al-Baghdadi, per le misure prese e volte a fermare l’avanzata islamista nel proprio territorio, la chiusura dei confini e il progetto di costruzione di un muro al confine con l’Iraq. Un nemico alla stregua degli Stati uniti, dei quali il leader si fa beffe definendoli «terrorizzati e senza potere» e che ordina di indebolire chiedendo a iracheni e siriani residenti nei territori occupati di non usare più il dollaro per gli scambi ma oro e argento.

Washington non commenta. La reazione segue percorsi già tracciati: raid contro gli islamisti e guerra al governo di Damasco. Ieri sono state bombardate postazioni del cosiddetto gruppo Khurasan, accusato dalla Casa Bianca di pianificare attacchi contro il territorio statunitense e dei paesi alleati. Per gli Usa sono miliziani pakistani e afgani autonomi, ma molti esperti lo ritengono una delle unità di al-Nusra.

Il resto è l’appoggio incondizionato ai gruppi anti-Assad. Seppure l’alleanza tra Isis e al-Nusra indebolisca ulteriormente la già inefficiente opposizione moderata, Obama parla ancora della necessità di una transizione politica senza Assad. Non è ben chiaro chi dovrebbe gestirla: per gli Stati uniti la Coalizione Nazionale che però nella realtà dei fatti è ormai priva di consenso popolare di base e di una strategia militare e sempre più schiacciata dai gruppi islamisti, da cui cerca di salvarsi «supervisionandone» i meeting.

Dall’altra parte del confine, in Iraq, il governo di Baghdad lavora invece per ridurre i settarismi interni: dopo aver rimosso 36 comandanti dell’esercito, fedelissimi dell’ex premier al Maliki accusati di corruzione, l’esecutivo ha raggiunto un accordo con la regione autonoma del Kurdistan su petrolio e pagamento dei dipendenti pubblici.

Il ministro delle Finanze, Zebari, ha fatto sapere che il governo ha dato il via libera al trasferimento degli stipendi per il settore pubblico kurdo (500 milioni di dollari) mentre Irbil consegnerà al potere centrale 150mila barili al giorno di greggio.