Oggi sono chiamati al voto più di 36 milioni di spagnoli per la seconda volta in sei mesi. Di questi, quasi 2 milioni sono residenti all’estero. 200 mila giovani sono nuovi elettori. Stavolta le cose però potrebbero andare in modo un po’ diverso che a dicembre.

È vero, il partito popolare (Pp) secondo tutti i sondaggi (anche quelli fantasiosi che per aggirare la legge parlano di «acqua», «melanzane», «fragole» e «arance»), manterrebbe la prima posizione, con circa il 30% dei voti. Ma in seconda posizione, in voti e seggi, quasi certamente ci sarà Unidos Podemos (Up), la coalizione di Podemos e Izquierda Unida (Iu) che oggi, grazie a questa alleanza, non disperderà la maggior parte dei voti di Iu, che quindi si trasformeranno in seggi per la coalizione. I sondaggi le attribuiscono almeno il 25%.

La legge elettorale è disegnata un po’ diabolicamente per punire nella gran parte delle circoscrizioni elettorali i partiti piccoli – 28 delle 52 circoscrizioni eleggono 5 deputati o meno: il che equivale a dire che 108 dei 250 deputati sono eletti con uno sbarramento di fatto altissimo.

In Andalusia e Catalogna si eleggono un totale di 108 deputati, e non è un caso che Up abbia concentrato molte delle sue forze in Andalusia, storica roccaforte socialista. Madrid e Barcellona, le circoscrizioni dove anche i più piccoli hanno speranza di essere eletti, mandano rispettivamente 36 e 31 deputati al Congresso.

Secondo i dati di Europapress, oggi ci sono ben 18 province medio-piccole dove con una piccola iniezione di voti, Unidos Podemos potrebbe strappare un seggio agli ultimi classificati dei tre altri principali partiti.

Al terzo posto con ogni probabilità ci sarà il Psoe, sopra al 20% dei voti, la percentuale più bassa della sua storia. Ma questa non è la peggiore notizia: Pedro Sánchez dovrà affrontare il redde rationem nel momento di decidere il da farsi. O accettare la mano tesa di Podemos per formare con loro il governo – i sondaggi dicono che dovrebbero sfiorare assieme la barriera dei 176 seggi – oppure lasciare che il Pp governi con l’appoggio di Ciudadanos; ipotesi ben vista dai maggiorenti del partito che vedono Podemos e i suoi alleati (favorevoli al referendum di autodeterminazione catalano) come fumo negli occhi.

In tutti i casi, il partito si spaccherà e non è chiaro se Sánchez vincerà il congresso posticipato a dopo l’appuntamento elettorale.

Di certo la campagna del Psoe è stata molto più conservatrice che a dicembre, e al centro dei suoi strali c’era più Podemos (e «il signor Iglesias», non proprio simpatico a molti) che non il Pp e Mariano Rajoy. Non è chiaro se per serrare le fila o perché Sánchez vuole qualche carta da giocare in funzione interna dopo il voto.

Quarto sarà Ciudadanos che, nonostante la prosopopea e il desiderio di grande coalizione anti-Podemos, non sembra supererà la percentuale di dicembre, intorno al 15% dei voti.

Per il senato ci sono in ballo 208 senatori, al massimo 4 per provincia, con gli effetti distorcenti che questo blocco implica. Non ha potere legislativo ma per un’eventuale riforma costituzionale sarà la chiave. Il Pp oggi ha la maggioranza assoluta.

Di rilievo il fatto che il voto per posta è quasi raddoppiato: 1 milione 300 mila persone (a dicembre erano solo 700mila) hanno già votato.

Secondo elemento, lo scandalo denunciato da tutta l’opposizione. Il Pp ha disegnato un sistema così farraginoso per il voto degli spagnoli all’estero che la partecipazione è crollata: meno del 5%, la maggior parte dei quali emigrati durante la crisi e quindi poco amici del Pp, ha potuto votare.

Ma il voto di oggi è anche segnato da due bombe mediatiche scoppiate questa settimana: la Brexit, che potrebbe togliere qualche voto a Up, più critica con l’Europa dell’austerità.

E secondo, il «FernandezDíazGate», lo scandalo che colpisce in pieno il ministro degli interni e lo stesso Rajoy.

Il quotidiano online publico.es ha rilasciato questa settimana una serie di registrazioni direttamente dall’ufficio del ministro che mettono in luce losche manovre per colpire i nemici politici del Pp, dagli indipendentisti a Podemos. In Catalogna il fango ha colpito molti dei politici più in vista, mentre nel ministero volano i coltelli. Se fino a oggi si tiene botta, non è escluso che da domani il coperchio sul malumore salti.