Il 22 settembre i tedeschi troveranno sulla scheda anche il simbolo della Npd (Nationaldemokratische Partei Deutschlands). Non l’unica, ma certamente la più organizzata e pericolosa forza politica di estrema destra. Esistono altre sigle in cerca di visibilità, ma senza seguito: Pro Deutschland organizza manifestazioni davanti alle moschee alle quali non partecipano che una manciata di persone, e i Republikaner sono ormai lontanissimi dai fasti di fine anni ’80, quando raggiungevano il 7%.
La Npd riesce a radunare alle proprie iniziative centinaia di militanti, grazie ad una capacità di mobilitazione che le deriva dalle risorse economiche di cui dispone. Denaro che è frutto anche di finanziamenti pubblici, perché il partito neonazista è rappresentato nei parlamenti di due Länder orientali: il Meclemburgo-Pomerania e la Sassonia. Regioni dove la Npd ha raccolto rispettivamente il 6% e il 5,6%.
Alle prossime elezioni politiche, per fortuna, non esiste la minima possibilità che riesca ad avvicinarsi alla soglia di sbarramento. A livello federale l’estrema destra non raccoglie oltre l’1,5%. Quest’anno, poi, si trova a dover fronteggiare un avversario che potrebbe rubarle una fetta di elettorato: i populisti anti-euro di  Alternative für Deutschland (AfD), a cui i sondaggi attribuiscono un ragguardevole 3%. Anche se con la galassia neofascista non hanno nulla a che fare, quelli della Afd fanno proposte che in parte coincidono con quelle della Npd, come il ritorno al marco tedesco. Un’esclusiva dei neonazisti sono, invece, le parole d’ordine razziste e islamofobe: nei loro manifesti di propaganda ritornano spesso sinistri giochi di parole contro tutti i «diversi».
Le manifestazioni contro i centri per richiedenti asilo hanno contribuito a risollevare un problema annoso: la messa al bando del partito neonazista. Molte voci – fra le quali tutte le forze di sinistra – sono tornate insistentemente a chiederla. La procedura, in realtà, è già avviata: il Bundesrat (la camera dei Länder) ha deciso lo scorso dicembre di presentare una richiesta in tal senso alla Corte costituzionale, l’organismo preposto a decidere se un partito deve essere vietato. Dal punto di vista giuridico la questione è molto controversa: nel 2003 un analogo tentativo, promosso allora dal governo Spd-Verdi di Gerhard Schröder, non ebbe successo.
Il rifiuto della Corte fu motivato da una ragione clamorosa: molti dirigenti della Npd, le cui dichiarazioni erano state usate, nella richiesta dell’accusa, come prove dell’anticostituzionalità del partito, erano in realtà informatori dei servizi. Non era possibile stabilire, dunque, se l’organizzazione neonazista avrebbe lo stesso violato la Costituzione anche in assenza degli infiltrati. Un esito sgradevole, ma giuridicamente non infondato.
Indipendentemente da come procederà la richiesta di messa fuori legge della Npd, le istituzioni della Repubblica federale sanno di dover mostrare sul tema della lotta ai neonazisti molto più impegno che negli anni passati. La vicenda degli omicidi perpetrati fra il 2000 e il 2006 dal gruppo terroristico NSU-Nationalsozialistischer Untergrund («Clandestinità nazionalsocialista»), casualmente scoperto e liquidato soltanto alla fine del 2011, ha significato una pesante ipoteca sulla credibilità delle forze di sicurezza tedesche: sono emerse, infatti, gravi responsabilità anche ad alti livelli nell’aver sottovalutato, nel corso dello scorso decennio, i delitti di matrice razzista compiuti da quel nucleo armato.