Quando si legge di «misure urgenti in materia urbanistica» (Eleonora Martini, il manifesto del 5 agosto), non si può non essere preoccupati. La maggioranza di centrodestra del Consiglio Regionale dell’Abruzzo vorrebbe varare una legge che, nell’intenzione dei promotori, dovrebbe aiutare il settore dell’edilizia penalizzato dal lockdown. I termini «misure urgenti» e «semplificazione», declinati in materia urbanistica, evocano la cementificazione di altre migliaia di ettari di suolo. La cosa è molto grave e siamo certi che altre Regioni vorranno seguire l’esempio dell’Abruzzo.

Questa vicenda mi permette di tornare su un tema su cui un tempo esisteva una netta distinzione tra destra e sinistra, che negli ultimi decenni si è andata sempre più sfumando fino a scomparire quasi del tutto. Il progressivo stravolgimento delle regole è stata una costante della politica urbanistica delle Regioni, di qualsiasi colore e a qualsiasi latitudine. I sedicenti «governatori» non si sono mai stancati di rivendicare piena autonomia (nel senso di pieni poteri) in campo urbanistico. Sappiamo, purtroppo, che le competenze regionali sono state esercitate nel peggiore dei modi e il territorio e il paesaggio portano i segni della devastazione e dello scempio. Abbiamo assistito, negli anni, ad una deregulation urbanistica sempre più spinta che, tra i suoi effetti, ha avuto uno spostamento di ricchezza verso la rendita che non ha precedenti nella storia d’Italia.

Ora, invece di porsi il problema di ripensare radicalmente la politica che ha sostanzialmente affidato alla proprietà fondiaria e immobiliare il ruolo di protagonista principale della trasformazione urbana, si continua a considerare il territorio un mero strumento di transazioni economiche e occasione di affari. Quale trasparenza garantisce la modalità del «negoziato» tra ente pubblico e proprietà, che esclude cittadini, associazioni e sindacati? L’urbanistica è diventata terreno di scambio e di nuovi rapporti tra politica, rendita e speculazione edilizia.

Ci sono eccezioni, encomiabili tentativi di resistenza in molti comuni, ma la realtà è sotto gli occhi di tutti e le esperienze negative accomunano purtroppo, in modo trasversale, destra e sinistra. È un fatto che i «diritti di proprietà» abbiano avuto il sopravvento sull’interesse generale avvalendosi di una serie di abili accorgimenti: i sistemi perequativi e compensativi, assai generosi verso i proprietari immobiliari; i diritti edificatori, da tutelare anche nel caso di aree private vincolate a uso pubblico; la pratica del silenzio-assenso; le continue forzature per escludere la tutela del paesaggio dagli impegni di pianificazione ordinaria urbana e del territorio.

Invece di privilegiare i processi di rigenerazione urbana, di risanamento delle periferie, di ristrutturazione e adeguamento del patrimonio immobiliare esistente, tutto il territorio è diventato urbanizzabile e negoziabile, con buona pace della pianificazione.

Il parlamento italiano, inoltre, non ha ancora provveduto ad adeguare la normativa agli indirizzi dell’Ue in materia di pianificazione e ambiente. I principali documenti Ue, infatti, considerano il consumo di suolo per espansione urbana come la principale minaccia alla conservazione delle risorse ambientali. Mentre gli altri Paesi hanno approvato norme stringenti, che considerano i terreni rurali e non urbanizzati un bene da tutelare al di là degli assetti proprietari, in Italia, al contrario, assistiamo a ripetuti tentativi di legiferare per garantire innanzitutto il diritto edificatorio e gli abusi edilizi. Altro che svolta green!

Ecco perché, in vista della nuova tornata elettorale, che riguarderà importanti regioni e grandi città, questo tema non può essere eluso. Programmi e alleanze di sinistra devono incardinarsi sulla salvaguardia del territorio ancora libero dal cemento. Vi sono, come ci ricordava Edoardo Salzano, attività e funzioni di primaria importanza legate al territorio rurale – il riciclo e la ricostituzione delle risorse di base (aria, acqua, suolo), il mantenimento degli ecosistemi, delle biodiversità, del paesaggio, il turismo e le occasioni di svago all’aria aperta – che presuppongono il mantenimento di una «divisione del lavoro» tra città e campagna e il potenziamento di infrastrutture ambientali che sostengano, direttamente o indirettamente, la vita delle comunità e una parte significativa delle attività economiche, sociali e culturali.

Sono nel giusto, dunque, e vanno sostenuti i movimenti ecologisti e le associazioni, come Wwf e Italia Nostra, che si battono contro gli sciagurati propositi di «semplificazione urbanistica» del centro-destra che governa l’Abruzzo. È tempo di contrastare con vigore scelte e decisioni che certamente favoriscono interessi particolari, ma collidono con l’interesse più generale delle comunità locali.