Nel 1948 la Gran Bretagna, dopo aver promosso la dichiarazione di Balfour (1917) che preparava la nascita dello Stato di Israele e aver lavorato sul campo per la formazione di questo Stato nel suo trentennale mandato coloniale, si astenne a sorpresa nel voto alle Nazioni unite per il riconoscimento di Israele, insieme alla Germania.

E così anche il sì alla Palestina, votato dai deputati inglesi lo scorso lunedì, risuona della stessa ipocrisia del 1948, come di una decisione di una potenza coloniale che gioca con il ruolo centrale che ha sempre avuto in Medio Oriente per lavarsi le mani del disastro che dilania la regione, prendendo decisioni, prive di effettive conseguenze politiche, quale è il riconoscimento dello Stato palestinese concesso lunedì.

Ipocrisia confermata dagli irrisori aiuti previsti dalla Gran Bretagna nella conferenza dei donatori che si è svolta questa settimana al Cairo in cui Londra ha promesso appena 32 milioni di dollari per la ricostruzione in Palestina contro il miliardo devoluto dal Qatar e i 200 milioni concessi dai turchi. La scelta inglese ha però una rilevanza simbolica in un contesto molto complesso per il conflitto israelo-palestinese, dopo la gravissima operazione «Margine protettivo» contro Gaza che quest’estate ha causato 2.200 morti tra i palestinesi, e l’appiattimento della mediazione egiziana sulle posizioni israeliane che ha prolungato il raggiungimento di una tregua.

La decisione che fa seguito al riconoscimento svedese della risoluzione 135 delle Nazioni unite che riconosce la Palestina come Stato, dimostra infatti il radicamento delle denunce di violazione dei diritti dei palestinesi, promosse in Gran Bretagna da varie campagne, tra cui la principale è «Boicottaggio, disinvestimento e sanzioni» (Bds), voluta da intellettuali del calibro di Ilan Pappé, che stigmatizza la continua costruzione di nuovi insediamenti da parte di Israele e denuncia la condizione dei rifugiati palestinesi.

Campagne come Bds non sono una novità per la Gran Bretagna, proprio in Inghilterra era nato il movimento anti-apartheid (Aam), conosciuto come movimento per il Boicottaggio, che aveva lo scopo di opporsi al sistema di apartheid in vigore in Sud Africa e di sostenere le battaglie per i diritti dei neri promosse da figure come Nelson Mandela.

Non solo, il voto di ieri riflette il completo fallimento della politica dell’ex premier inglese Tony Blair in Medio Oriente quali inviato del Quartetto di mediatori per una pace che non è mai arrivata. Un gruppo di ambasciatori britannici la scorsa estate aveva promosso una campagna per licenziare Blair dal suo incarico di inviato per il Medio Oriente dopo il suo tentativo di auto-assolversi dalle gravi responsabilità che ha avuto nel conflitto iracheno.

Il riconoscimento dello Stato palestinese ha sancito invece l’allineamento dei laburisti inglesi sulla soluzione, tanto cara al presidente Usa George Bush jr. dei «due stati» per mettere fine al conflitto. Ma la forte presa di posizione dei laburisti inglesi di Ed Miliband a favore del riconoscimento dello Stato palestinese e la sua imposizione di questa come una linea di partito, per evitare defezioni dei deputati laburisti, non hanno mancato di suscitare malumori. Molti parlamentari laburisti avevano chiesto libertà di coscienza.

Il riconoscimento tardivo dello Stato palestinese potrebbe avere la reazione negativa del governo israeliano con il mantenimento dello status quo, l’ aggravarsi della sempre più insostenibile «bantustanizzazione» dei territori palestinesi, l’assedio permanente della Striscia di Gaza e il dramma di prigionieri politici e profughi.