Nel suo bel libro recente Noi siamo cultura il genetista Edoardo Boncinelli ha scritto che «la civiltà non si interiorizza, e quindi non si trasmette biologicamente, ma solo culturalmente, attraverso le collettività. E può essere perduta in qualsiasi momento». A volte, perdendo una cultura specifica, perdiamo una fetta consistente di umanità. E ne restano tracce, echi, piccoli sedimenti solo in pratiche successive. Se perdessimo la cultura degli Aka, ad esempio, perderemmo buona parte delle scaturigini della nostra cultura musicale. Dove per cultura musicale intendiamo proprio le fonti, le origini: ad esempio la polifonia, la poliritmia, il canto monodico accompagnato, i passi di danza sincronizzati sul flusso ritmico secondo schemi che hanno dato origine ai balli occidentali, la sapienza nel mettere assieme la cellula ritmica del due con quella del tre, che è poi all’origine di tutta la musica afroamericana dell’America latina.

Gli Aka sono i pigmei delle foreste situate tra Repubblica del Congo e Repubblica Centrafricana. Sono cacciatori-raccoglitori che vivono in un rapporto pressoché simbiotico con la foresta, come gli indios dell’Amazzonia. Praticano anche raffinate ed «etiche» forme di baratto con le altre popolazioni, ma, soprattutto, sono straordinari musicisti e cantanti. Il canto polifonico pigmeo degli Aka è stato inserito dall’Unesco nei «Tesori culturali intangibili dell’umanità». Non è vero che tutto vada per il meglio: il «piccolo popolo» è discriminato e guardato con un sospetto razzista inversamente proporzionale alla possente rilevanza culturale delle loro pratiche. Davide Ferrari di Echo Art, organizzatore del Festiva musicale del Mediterraneo ha scelto proprio loro, i pigmei Ndima («la foresta») Aka per aprire la ventiquattresima edizione del festival,dedicato quest’anno alle «musiche degli dei». Con musiche sacre da Oriente, Occidente ed Africa.

Non occorre essere credenti o praticare una qualsiasi forma di religione comunemente accettata per comprendere che uno spezzone di cultura pigmea assaporato anche su un palco montato nell’atrio di un palazzo storico (Palazzo Tursi, sede comunale di Genova) è un’esperienza che lascia esterrefatti, e con la sensazione davvero di aver sfiorato quanto di divino si annida nelle teste e nei cuori della razza umana. Loro, gli Ndima della tribù Aka, unico gruppo pigmeo a girare il mondo come ambasciatori culturali, in sei sul palco, sono accompagnati ed hanno accolto sul palco un non pigmeo che media con il resto del mondo, un signore nero che si chiama e torreggia quaranta centimetri più in alto di loro, e si definisce modestamente «ricercatore della foresta», dopo essere stato da loro preventivamente accolto, racconta, come «studente della foresta». Antropolgia sul campo, a vita.

Uno spettacolo musicale e coreutico dei pigmei Aka mette in scena la vita, l’amore, la caccia, l’evocazione degli spiriti della foresta: si affiancano due donne minuscole, e scaturisce l’intreccio di canto yodel e un volo di armonici su vertiginosi saliscendi che immediatamente sembra evocare la presenza di altre due, tre voci. Oppure le voci agiscono tutte assieme, in polifonia, e l’onda sonora che avvolge i presenti non può non far pensare ad una forma di raffinatissimo minimalismo con continue iterazioni variate. Suona un’arpa liuto a sei corde, montate in diagonale su una cassa a parallelepipedo, e sembra l’origine del canto e della canzone.

Suona un impressionante arco musicale da 60 centimetri, lo Mbela, la corda vibrante tenuta tra i denti da un pigmeo, e si avvertono possenti, melodiose sinusoidi di suono che fanno pensare all’elettronica. E la danza, gioiosa e morbida, conserva nei movimenti di base l’origine evidente e trasmessa poi a tutti gli altri dei passi del charleston e del twist. Certo, è evidente che bisogna evitare la trappola dello stupore esotistico di fronte all’altro: ma con i pigmei Ndima è facile, è come trovarsi di fronte a uno specchio che riflette il passato, e forse anche un pezzo di futuro. Se sapremo preservarlo. Il Festival del Mediterraneo dedicato alle «Musiche degli dei» andrà avanti ogni sera a Genova nei Palazzi storici fino al 4 luglio.