Servirà, di nuovo, il ballottaggio. Il centrosinistra erede del ventennio Zanonato si è spaccato in quattro: Ivo Rossi (Pd, renziano) guida ciò che resta della coalizione ulivista; Francesco Fiore di Padova 2020 (sconfitto alle Primarie per un pugno di voti) interpreta la voglia di girare pagina; l’assessore alla cultura Andrea Colasio (Scelta Civica) offre un’alternativa moderata; la presidente del consiglio Daniela Ruffini (Rifondazione) difende il perimetro della sinistra.
La poltrona di palazzo Moroni si gioca, quindi, senza esclusione di colpi. Padova (210 mila residenti) è l’unico capoluogo di provincia a Nord Est che rinnova l’amministrazione comunale. Un test cruciale per i democrats che nel 2009 contavano su 38 mila consensi diventati poco più di 35 mila alle Politiche 2013. Tanto più che la conferma del “reggente” Rossi si intreccia con la rincorsa ad un seggio da europarlamentare dell’ex ministro Zanonato.

Anche il centrodestra è diviso. Forza Italia non ha saputo esprimere un candidato sindaco e sostiene Massimo Bitonci, capogruppo leghista al Senato ed ex sindaco di Cittadella. Deve fare i conti con lo “sceriffo” Maurizio Saia, che ha messo insieme otto liste e gode dell’appoggio del Ncd con il sottosegretario all’ambiente Barbara Degani in prima fila. Infine, la destra irriducibile di Bruno Cesaro che cavalca l’onda degli ultras del Calcio Padova sull’orlo della retrocessione.

Il Movimento 5 Stelle si affida a Giuliano Altavilla e alle iniziative clamorose. Beppe Grillo dal palco del palaGeox gremito di gente ha “benedetto” l’esposto alla Corte dei Conti sull’incorporazione della multiutility AcegasAps da parte degli emiliani di Hera. E il senatore Giovanni Enrizzi si è rivolto al prefetto, denunciando il rischio di un “voto di scambio”. Infine, in lizza anche l’ex capogruppo berlusconiano Alberto Salmaso che testimonia l’implosione del partito…

E’ sicuro che la partita elettorale a Padova si giocherà in due tempi. Con l’incognita dello sfidante: i sondaggi premiano Bitonci; il tam tam sotterraneo indica Saia; la clamorosa sorpresa sarebbe Fiore (o il pentastellato…) che materializzerebbe l’incubo di un tonfo peggiore del 1999 per i vertici della Federazione di via Beato Pellegrino.

Di sicuro, la campagna elettorale non ha entusiasmato. Anzi, sicurezza e “buongoverno” hanno eclissato le ragioni del declino dell’ex “capitale” del Veneto.

Padova non è più cassaforte finanziaria (Carisparmio e Antonveneta sono ormai Intesa e Mps), ha una zona industriale senza vera manifattura ed è prigioniera dell’immobiliarismo in tilt. Le vere “fabbriche” sono l’Università e la sanità pubblica, ma viaggiano per conto loro convinte di essere ancora eccellenze insindacabili. Il nuovo Orto Botanico è il perfetto biglietto da visita di Expo 2015 e il nuovo ospedale non si cura dei conflitti d’interesse né del project financing.

In compenso, è la città delle truffe e dei fallimenti. O il “laboratorio” che ha anticipato la sussidiarietà fra ciellini e bersaniani. Ha rimosso la “cricca” della logistica, i mega-progetti a Vladimir e le inchieste che riguardano simboli come Mantovani Spa o Ilaria Capua. E se il prototipo di metrotram Lohr viaggia da sette anni, nemmeno i due santi padovani possono miracolare il trasporto pubblico… A urne aperte, comincia la resa dei conti sul Comune senso della crisi?