Terzo capitolo della trilogia di Ron Howard dedicata ai romanzi esotico-esoterico-eruditi di Dan Brown, Inferno si presenta come un riaggiornamento non banale della classica avventura turistica-cosmopolita dei tardi anni Settanta, quella con le Ava Gardner e i Charlton Heston di turno a spasso per le capitali europee. Rispetto ai due precedenti capitoli, l’incursione fiorentina di Tom Hanks/Robert Langdon si presenta in contro tendenza. Il protagonista, drogato fino agli occhi e ferito, è in perenne balia degli eventi e raramente comprende cosa e perché gli sta accadendo. La trovata dell’amnesia è retrò e charmant quanto basta e in qualche modo tematizza ironicamente il passare inconsapevole dei turisti statunitensi (e non solo) di fronte a monumenti e opere d’arte di cui conoscono poco o nulla.

Per un personaggio solito snocciolare saggezza e nozioni, si tratta di un’inversione di marcia davvero ironica. Ovviamente non dura tanto, ma i flash amnesici, e i capovolgimenti di situazioni, sono piuttosto frequenti e tali da tenere Langdon e lo spettatore in una costante dimensione di incertezza. Sarebbe facile liquidare con qualche battuta ironica questa nuova fatica di Ron Howard, uno dei più interessanti allievi di Roger Corman.

La premessa narrativa, un miliardario vuole decimare con un virus di sua creazione la popolazione mondiale per combattere il sovraffollamento che rischia di esaurire le risorse del pianeta, risuona sinistra in un momento in cui una parte considerevole del capitale neoliberista nega il riscaldamento globale e Daesh recluta invocando l’apocalisse e la fine dei tempi. In qualche modo Langdon (almeno nella versione di Ron Howard), nel suo essere il custode di un sapere umanista, promotore della trasmissione, si offre come un modello di tutela e di pedagogia. Quasi un nipotino dei Monument Men di George Clooney. Howard è come se erotizzasse gli scenari ancora possibili della Kultur (Cultura) per fare fronte al venire meno del progetto della Zivilisation (civiltà).

Il mondo è come se perdesse i suoi confini per diventare un’immensa traccia memoriale che aspetta solo di essere letta e compresa. E quindi preservata. Il tutto con la velocità di un click, vedi il nel caso della spiegazione della parola «quarantena». Come in un travelogue dell’inizio del secolo scorso, l’Europa torna a essere «maravigliosamente» esotica mentre il finale si consuma a Istanbul, sempre più nodo irrisolto fra Occidente e Oriente, dove il velo copre i complotti dell’Occidente. Howard, che inventa piccoli tocchi di orrore dantesco di notevole efficacia, filma Firenze con grande intelligenza visiva, tale da ricordare il lavoro di Ridley Scott e quello di Vincenzo Natali per la serie Hannibal. Cineasta più a suo agio mentre sperimenta, come nel caso di Rush e The Heart of the Sea, Howard confeziona con Inferno un prodotto d’intrattenimento non banale e sopra la media.