Ci sono storie, situazioni, Paesi dove non esistono il sì e il no, ma solo due sì e uno dei due significa no. È la sensazione peculiare di chi si guarda e racconta con gli occhi degli altri, come spiegava Du Buois.

LA SITUAZIONE DEI SUICIDI in Kenya non fa parte di queste storie. Secondo le rilevazioni effettuate dalla polizia keniana, nei primi tre mesi del 2021 si sarebbero suicidate quasi 500 persone (in tutto il 2020 erano state 320). Il più giovane aveva nove anni, il più anziano 76. George Kinoti, responsabile della direzione delle indagini penali della polizia, ha dichiarato: «Non abbiamo mai registrato un numero così elevato di suicidi e questo non solo è allarmante, ma richiede misure correttive urgenti».

Un rapporto dell’Organizzazione mondiale della sanità (Oms) specifica che il suicidio nella fascia di età 15-29 anni è una delle principali cause di morte a livello mondiale. Ha riguardato nel 2020 703mila persone che nel 77% dei casi erano abitanti di Paesi a basso e medio reddito. Questa prevalenza viene associata alla scarsità dei servizi di salute mentale all’interno dei questi Paesi: in particolare alle carenti possibilità di cure, ma anche di politiche e di programmi.

IN BASE AI DATI della Banca mondiale il tasso di mortalità per suicidio in Kenya è di 6,1 persone su 100mila abitanti, ma gli uomini sono la categoria a più alto rischio, 9,1 su 100mila. I livelli più alti di suicidio tra gli adolescenti (o tentativi di) sono stati rilevati in Kenya e in Zambia.

Uno studio riguardante gli studenti universitari keniani ha mostrato una correlazione tra suicidio ed episodi di abusi di tipo fisico. Una ricerca della Daystar University di Nairobi, su un campione di 1.040 ragazzi di 235 scuole di Nairobi di età compresa tra 14 e 22 anni, dimostrava che 224 di loro (21,5%) presentavano delle condizioni di rischio suicidio. Il tasso era più alto per gli adolescenti privi di una famiglia (26,4% dei casi).

Il Covid-19 quale fattore di cambiamento non previsto viene individuato come uno dei fattori che sta incidendo sulla crescita dei suicidi. Ma vi sono anche fattori strutturali che determinano il rischio di suicidio. Tra i fattori prevalenti vi sarebbe quella che viene comunemente chiamata «servitù domestica» (o schiavitù domestica).

Migliaia di ragazzine giovanissime a servizio 24 ore su 24 per famiglie che in cambio di cibo e qualche soldo da mandare a casa sottopongono le giovani a ritmi di lavoro forsennati e a trattamenti denigratori fatti di umiliazioni e percosse.

PADRE KIZITO, missionario comboniano, ha recentemente accolto nella comunità di Koinonia una di queste vittime che «lavorava» in una di quelle ville sulle colline delle zone che a Nairobi chiamano low density, high income (bassa densità di popolazione, reddito alto) in contrasto con le aree high density, low income (tanta gente, poco reddito).

«Mary veniva brutalmente malmenata quando non riusciva a lavorare per la febbre alta e non si alzava in orario, ma subiva anche abusi di tipo fisico dal padrone, non ce la faceva più, mi ha detto che se non fosse riuscita a scappare si sarebbe suicidata, racconta il missionario». Ma quando il cielo vuole spuntano le stelle. Ora Mary è al sicuro e forse con un po’ più di Koinonia lo sarebbero anche molti altri.