Allarme rosso sulla libertà di informazione. Non parliamo qui di uccisioni, ferimenti, minacce o querele temerarie, ovvero la grande tragedia dell’epoca.

Il riferimento è alla violenza «bianca» dei soprusi e delle indecenti preferenze nell’esposizione politica sui media. Siamo nel corso di una colossale crisi politica e istituzionale. Meglio, di sistema.

Le vecchie coordinate sono travolte e con loro è andata a farsi benedire la «par condicio». Appunto. Il problema è più serio di altre volte, perché le telefonate senza contraddittorio nel programma di Fazio o le presenze non stop di esponenti politici nelle giornate televisive sono solo l’antipasto dell’invasione incontrollata che ci aspetta. Se si voterà in tempi brevi, infatti, questa volta il vecchio Far west avrà le sembianze della saga di Blade runner. Si salvi chi può e la scena televisiva sarà bellamente occupata.

Catastrofismo? No, semplice constatazione. Prendere un telecomando e fare lo zapping per credere: basta poco per accorgersi del pericolo in atto. Il pluralismo è stato sepolto, senza neanche i funerali. Non si dica che la legge 28 del 2000 non è in vigore perché ancora (quella sulla par condicio) non sono stati convocati i «comizi elettorali». Quella stessa, negletta, normativa sottolinea la necessità di preservare i principi generali delle pari opportunità durante l’intera annata, come cifra identificativa di ogni emittente che utilizza un bene comune, l’etere.

Così pure parla con nettezza la riforma del 1998, la l.249, che assegna all’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni compiti complessivi di alta amministrazione e di magistratura. La vicenda si aggrava, poi, per l’assenza della Commissione parlamentare di vigilanza, neppure costituita. Tra l’altro, se il quadro dovesse precipitare, chi stabilirebbe calendari e presenze nelle trasmissioni? E già oggi, si sta valutando se non vi sono state violazioni o se altre eventuali si stanno appalesando?

Sono urgentissime, dunque, misure straordinarie. Innanzitutto, sarebbe indispensabile un documento di indirizzo chiaro da parte dell’Agcom, insieme all’immediata pubblicazione dei dati sulla politica in video e in voce più recenti a disposizione.

Non solo. All’Autorità spetta anche il compito di verificare l’osservanza dei principi elementari da parte dei social, a cominciare da Facebook. Ci ricordiamo di Cambridge Analytica?

E c’è da chiedersi se le presidenze di Camera e Senato abbiano preso in esame una soluzione concreta per costituire la commissione parlamentare o immaginare eventualmente un collegio ad hoc.

Non solo. Troppo delicata è la transizione italiana. Accanto ai livelli istituzionali serve una struttura costituita dalle principali associazioni della società civile, magari con il supporto delle università specializzate, per verificare il rispetto delle regole, «dal basso». E per tutelare i soggetti mediaticamente deboli, in quanto eccentrici rispetto al mainstream dominante. La par condicio, infatti, non è una partita a poker ristretta a Lega, 5Stelle, Forza Italia e Partito democratico. Anzi. I primi due attori sembrano il nuovo bipolarismo e si mangiano molto, troppo del tempo. Certamente sono i «vincenti», ma la legge funziona quando l’ultimo ha la stessa dignità del primo. Quante volte il Mov5Stelle ha protestato contro il regime e proprio il presidente della Camera Roberto Fico, per l’esperienza maturata nella Vigilanza sulla Rai, dovrebbe esprimersi su un tema cruciale.

Così come l’Agcom bene farebbe a battere qualche colpo. Guai se l’antiregime si fa subito regime e se, in tanto discettare di popolo, la platea radiotelevisiva viene abbandonata alle logiche strumentali della contingenza. Populismo mediale, «dall’alto».