Da almeno due giorni non mangiano e i magazzini che dovrebbero contenere le scorte di cibo sono vuoti. Come se non bastasse, poi, vedono miliziani armati aggirarsi pericolosamente intorno ai centri nei quali sono richiusi. Una situazione in cui, con il proseguire della guerra civile, potrebbe accadere di tutto. «Siamo terrorizzati», ha raccontato uno dei migranti detenuti nel centro di Qasr bin Ghashir, alla periferia sud di Tripoli, dove da giorni i soldati del premier al Serraj si scontrano con le forze dell’Esercito nazionale libico del generale Khalifa Haftar. A peggiorare le condizioni di vita delle centinaia di persone presenti nella struttura c’è poi il fatto che oltre al cibo mancano anche acqua ed elettricità.

Quanto accade nei centri per migranti gestiti per il governo di Tripoli dal Dipartimento per la lotta alla migrazione illegale (Dcim), è un dramma nel dramma libico. A raccogliere le loro testimonianze è stata l’emittente Al Jazeera grazie ad alcuni telefoni cellulari sfuggiti alla sorveglianza dei miliziani. E’ stato così possibile sapere che, sempre a Qasr bin Ghashir, due uomini in uniforme avrebbero ordinato ai migranti di tenersi pronti per essere trasferiti, cosa che ha ulteriormente gettato nel panico uomini, donne e bambini che temono adesso di essere venduti ad altri gruppi armati. Intanto i migranti sarebbero stati usati per trasportare carichi di armi, mentre per ora non ci sono conferme alla notizia di un loro impiego per combattere le milizie di Haftar.

Guerra o no, il business dei migranti in Libia non si ferma ma soprattutto l’instabilità politica del Paese rende ancora peggiori condizioni di vita che già normalmente – se di normalità si può parlare – sono insopportabili per chiunque. Secondo i dati dell’Oim, l’Organizzazione internazionale per le migrazioni, fino alla settimana scorsa erano 6.900 i migranti detenuti nei centri gestiti dal governo, 600 dei quali minori. A settembre dell’anno scorso, durante gli scontri tra milizie rivali avvenuti sempre nella capitale, alcune decine di migranti riuscirono a fuggire di notte dal centro in cui erano richiusi. Furono visti scappare portandosi dietro poche cose raccolte in buste di plastica, ma nei giorni seguenti vennero quasi tutti ripresi. Adesso la situazione sembra essere anche peggiore: «Le violenze stanno accrescendo ulteriormente la miseria dei rifugiati e dei migranti detenuti arbitrariamente nei centri di detenzione», ha ripetuto ieri il coordinatore umanitario delle Nazioni Unite per la Libia, Maria Ribeiro.

Ma accanto ai centri «ufficiali», dove comunque le organizzazioni internazionali riescono a entrare, c’è il buco nero rappresentato dalle centinaia di migliaia di migranti che sono invece nelle mani di trafficanti e milizie, ammassati in hangar e magazzini sparsi nel territorio. Persone alle quali in questo momento, come denuncia il portavoce dell’Oim, Flavio Di Giacomo, può accadere di tutto. «I trafficanti devono monetizzare il migrante, quindi se non è più possibile ricavare dei soldi con le traversate, perché diminuite o perché rese più difficili dalla guerra, allora aumentano le torture sui migranti per estorcere più soldi alle famiglie. Lo sappiano dalle testimonianze di quanti riescono ad arrivare in Italia e confermate dai segni visibili sui loro corpi».

Sempre l’Oim calcola in circa 700 mila gli stranieri presenti in Libia. Non tutti, però, vogliono partire. Almeno la metà proviene da Niger, Egitto e Ciad e si trova nel Paese nordafricano alla ricerca di un lavoro. «Quando la situazione politica e i combattimenti peggiorano molti di questi fanno rientro nei Paesi di origine», prosegue Di Giacomo. I restanti 350 mila sono invece in balìa dei trafficanti. Una situazione che agita palazzo Chigi, dove si teme una ripresa in massa delle partenze di barconi carichi di disperati. «Dubito che questo possa accadere», spiega ancora Di Giacomo. «In realtà la vera emergenza è umanitaria, sia nei centri di detenzione, sia in mare. Ora che le navi delle ong non ci sono quasi più, se i trafficanti obbligheranno i migranti a partire vorrei sapere chi andrà a salvarli».