Le ricadute della nuova Intifada palestinese non preoccupano gli economisti israeliani. Hotel e tour operator non registrano, per ora, un numero significativo di prenotazioni annullate o altri problemi per il turismo a causa della “situazione instabile”. L’economia israeliana però deve fare i conti con il crollo di un altro settore decisivo per il Pil nazionale: la vendita di armi. Nei giorni scorsi i capi delle quattro principali industrie di produzioni militari – Michael Federmann e Bezhalel Machlis di Elbit, Rafi Maor e Joseph Weiss delle Israel Aerospace Industries (IAI), l’ex generale Yitzhak Gat e Yedidia Yaari della Rafael e il generale Udi Adam e Avi Felder delle Israel Military Industries (IMI) – hanno inviato una lettera al premier Netanyahu per chiedere un incontro urgente sui cambiamenti intervenuti nel mercato delle armi dove Israele, malgrado le sue ridotte dimensioni, da molti anni gioca un ruolo da gigante.

 

Nella lettera, pubblicata in parte dal giornale economico Globes, si sottolinea che «L’industria della difesa in Israele è nel bel mezzo di una grave crisi: le esportazioni militari sono scese da 7,5 miliardi di dollari del 2012, a 6,5 miliardi nel 2013 e a 5,5 miliardi del 2014. Quest’anno ci aspettiamo le esportazioni di totale 4,4 miliardi di dollari». Un dato che se confermato segnerà il punto più basso per le esportazioni di armi israeliane da dieci anni a questa parte. I capi delle principali industrie militari – tre di esse sono statali – si lamentano anche perchè il bilancio della difesa per il 2016, a loro dire troppo magro, che non lascia prevedere una crescita della domanda da parte del governo israeliano. Il problema principale resta il crollo delle esportazioni nonostante i nuovi acquisti fatti in particolare dall’India, Paese che più di altri compra armi israeliane. «C’è un rallentamento economico e molti governi riducono le spese per la difesa», spiega Itamar Graff, vice direttore del Sibat per gli affari internazionali del ministero della difesa, «molti Paesi comprano meno armi, altri chiedono chela produzione e sviluppo delle armi avvengano all’interno dei loro confini».

 

Non è servita ad invertire la tendenza neppure l’offensiva “Margine Protettivo” del 2014 contro Gaza, durante la quale Israele ha messo in mostra non poche delle sue “produzioni” belliche più sofisticate. E non basta il successo globale che riscuotono i droni “Made in Israel”. Eppure in Medio Oriente si comprano ogni anno armi per decine di miliardi di dollari. I regnanti sauditi e di altre petromonarchie fanno felici le industrie militari degli Stati Uniti, della Francia e di altri Paesi europei richiedendo aerei, carri armati, blindati, mezzi navali, bombe e armi leggere per i loro arsenali. Questi mercati però sono inaccessibili (ma non del tutto) per le industrie belliche israeliane, per la mancanza di trattati e relazioni ufficiali con le monarchie del Golfo. Dietro le quinte le cose sono diverse.

 

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Missili “Spike” di produzione israeliana in dotazione all’esercito sudcoreano (AP)

Fino a poco tempo fa delle esportazioni di armi israeliane riferivano solo i giornali locali e i media internazionali specializzati. Poi su ordine di un tribunale israeliano, il governo Netanyahu pubblicò un paio d’anni fa una lista, peraltro parziale, di Paesi acquirenti tra i quali Spagna, Stati Uniti, in Kenya, Corea del Sud, Regno Unito, Cile, Messico, Colombia. Spicca il costante aumento delle esportazioni di armi verso l’Africa (Ciad, Botswana, Ruanda, Camerun, Uganda) cresciuto del 40% dal 2013 al 2014. I principali acquirenti restano però i Paesi dell’Asia e del Pacifico: $ 3 miliardi nel 2014. Tra le richieste di alto profilo c’è la vendita all’India di missili, in particolare gli Spike, usati in abbondanza contro Gaza l’anno scorso. In ogni caso, nonostante il calo netto che si registrerà a fine anno, Israele era e resta uno dei primi 10 esportatori di armi.

 

Le armi in dotazione del suo Esercito nel frattempo continuano a dimostrarsi letali nei confronti dei palestinesi. Ieri sera nei pressi delle colonie di Etzion, tra Betlemme ed Hebron, nella Cisgiordania occupata, un soldato, con una raffica del suo mitra, ha ucciso sul colpo due palestinesi che qualche attimo prima avevano accoltellato e ferito non gravemente un altro militare. A Hebron nei pressi di Bab Zawiye, almeno 13 palestinesi sono stati feriti durante il raduno di protesta per la mancata restituzione alle famiglie dei corpi di 11 giovani uccisi dai militari durante o subito dopo attacchi tentati o compiuti contro israeliani. Ieri in un ospedale di Gerusalemme è deceduto Richard Leikin, 76 anni, un israeliano ferito due settimane fa in un attentato palestinese contro un autobus nella colonia Armon HaNetsiv in cui morirono due passeggeri.