Il caso di Ebola non era un caso di Ebola, ma malaria. Tutto è cominciato martedì mattina, quando una donna nigeriana di 42 anni, residente a Civitanova Marche, chiama l’ambulanza, accusando dolori addominali e una forte febbre. Un cronista locale intercetta la notizia, chiama l’ospedale e domanda: «Può trattarsi di Ebola?». La risposta è nelle quattro parole che ogni medico pronuncia quasi in automatico quando ha sì e no visitato il paziente: «Non possiamo escludere nulla». Così nasce un titolo da giornale online: «Caso sospetto di Ebola a Civitanova Marche», e sui social network comincia una lunga giornata di follia.

La tesi è sempre la stessa: gli immigrati che sbarcano da queste parti portano malattie. L’epidemia di Ebola che in Africa occidentale va avanti da settimane è uno spauracchio utilissimo alla causa. E allora di vignette, battute, dichiarazioni e ammiccamenti su un’ipotetica epidemia alle porte ne girano parecchie, tra cattivo gusto, stupidità e razzismo puro e semplice. Già, perché i medici, i ricercatori e gli scienziati sono tutti d’accordo nell’affermare che il pericolo di diffusione del virus Ebola in Italia è trascurabile, praticamente nullo. E tanto dovrebbe bastare.

Comunque il sasso nello stagno di Facebook e Twitter è lanciato, e in breve provoca un’onda anomala di panico. Quando si diffonde la notizia che la paziente nigeriana dovrà essere trasferita all’ospedale regionale di Ancona, poi, il panico diventa terrore. In realtà si tratta di una consolidata prassi: nelle Marche, tutti i casi medici più complessi (dalla meningite in poi) finiscono nel capoluogo, dove il Torrette dispone di macchinari più all’avanguardia e, soprattutto, più personale per seguire i vari casi. Spiegarlo, però, non serve a niente. Come se non bastasse, ci si mette anche l’assessore regionale alla Sanità, Almerino Mezzolani: «Abbiamo seguito tutte le procedure del Ministero per i casi di malattie infettive». Una sacrosantà banalità, che lanciata nell’etere diventa una conferma dei più inquietanti sospetti. Nuovo titolo dei giornali online: «Ebola nelle Marche, la Regione conferma». Inascoltati i medici che smentiscono categoricamente di aver mai pronunciato la parola «Ebola», ormai è troppo tardi per stare calmi.

Il segretario della Lega Matteo Salvini coglie la palla al balzo e ne spara una delle sue su Twitter: «Caso sospetto di Ebola, straniera ricoverata a Civitanova Marche. Avanti con l’invasione, tanto non c’è nessun rischio». Sembra quasi soddisfatto, il leader padano, e d’altra parte questa linea di pensiero, che dovrebbe essere offensiva per l’intelligenza di chiunque, pare stia pagando parecchio, sondaggi alla mano. Tutta la destra locale è sulla stessa lunghezza d’onda. C’è pure chi vuole lavare l’orgoglio ferito di Iva Zanicchi, che qualche mese fa, in televisione, parlò di emergenza Ebola legata agli sbarchi, tirandosi dietro l’ilarità del pubblico e del conduttore.

In realtà c’era poco da ridere, l’operazione terroristica stava andando a segno: non più solo criminale, l’immigrato diviene anche untore. Per non sbagliare, il timoroso centrosinistra marchigiano non dice una parola, non replica, fa finta di niente. Le ore passano e il pomeriggio di martedì diventa la sagra dell’allarmismo. Le notizie si susseguono: la donna era appena rientrata da un viaggio in Nigeria. «Ecco, si è portata dietro il virus», è la nuova certezza della rete.

In serata, però, il primo riscontro reale: la donna è positiva al test per la malaria. La mattina dopo, dall’istituto Spallanzani di Roma, arriva la smentita definitiva: nessun caso di Ebola, è malaria, e stop. A destra, improvvisamente, cala il silenzio. La psicosi si dissolve e le giustificazioni di chi il giorno prima gridava alla pandemia sono debolissime: «È uguale, abbiamo passato ore di paura». Qualcun altro prova a rilanciare e grida all’allarme malaria, ma non è la stessa cosa. Su Facebook e su Twitter già si parla d’altro, almeno fino alla prossima emergenza.