«Il Pp è il primo partito, spetta alle autorità spagnole vedere cosa fare per un governo stabile e che possa giocare pienamente il suo ruolo in Europa». Da Bruxelles Jean-Claude Juncker, capo della commissione Ue, si complimenta con Rajoy per le elezioni. Ma nell’europarlamento invece, e in particolare nel gruppo socialista S&D il tono è tutt’altro.

Piano Juncker per gli investimenti e «margini di flessibilità, che non può essere applicata a giorni alterni in base agli umori di Bruxelles», tuona il capogruppo S&D Gianni Pittella: dopo la Francia (e la Polonia), il voto spagnolo è un «nuovo segnale d’allarme» per l’Ue c’è una «considerevole area di sfiducia e reazione a uno sfascio economico e sociale provocato da politiche di austerità», al quale bisogna rispondere «correggendo e invertendo la rotta».

Per i socialisti è un bagno di sangue elettorale in tutto il continente. L’Italia potrebbe essere la prossima.

Anche per questo la «grande coalizione» europea dovrà presto fare il tagliando contro l’ondata populista: «Servirà una messa a punto della nostra cooperazione e della svolta politica di cui Juncker si è fatto garante». E questo, dice Pittella, sia per «sgombrare il campo» dal ritorno dei «falchi» alla Schäuble sia per fare chiarezza su un sistema di comando Ue «unilaterale e inaccettabile».