Dopo una campagna elettorale in lungo e in largo attraverso la Nordrenania-Westfalia, il più popoloso Land della Germania, per Fabio De Masi il tempo del riposo non è ancora arrivato: «Ora devo smaltire il lavoro arretrato e poi organizzare il mio nuovo ufficio a Bruxelles, mi riposerò ad agosto». Stanco ma soddisfatto, l’economista 34enne italo-tedesco è uno dei 7 deputati che la Linke ha eletto nel nuovo Europarlamento: il manifesto lo ha raggiunto telefonicamente per un confronto sulle elezioni e sul «che fare» dopo il voto.
De Masi, qual è la sua valutazione dei risultati delle elezioni europee?

In primo luogo va sottolineata la bassa affluenza: il 57% di astensionismo ci dice che c’è qualcosa di insoddisfacente nella democrazia europea. E quindi dobbiamo parlare dei fondamenti dell’Ue, perché l’astensione dimostra che in tanti pensano che l’Unione non li riguardi, ma sia semplicemente uno strumento in mano a grandi imprese e lobbysti. In secondo luogo, ci sono i drammatici risultati in Francia e nel Regno Unito, che mostrano che serve un nuovo inizio per l’Ue: nuovi trattati che devono essere approvati da referendum in tutti gli stati. Il rischio che corriamo è che questa Ue distrugga l’ideale europeista. Terzo: i partiti alla sinistra dei socialdemocratici sono cresciuti praticamente ovunque, e il nostro candidato presidente Alexis Tsipras ha vinto in Grecia contro Nea Demokratia e contro Angela Merkel che ha fatto campagna per il premier Antonis Samaras. Ed è proprio al Paese ellenico che ora dobbiamo guardare: se Tsipras riuscirà a conquistare il governo, ci sarà un’immediata reazione da parte della troika, che cercherà di punire i greci per quella scelta. E noi dovremo farci trovare pronti, ed essere al fianco del popolo greco.

E come giudica il risultato della Linke in Germania?

Positivamente. Rispetto alle elezioni europee del 2009 in percentuale siamo rimasti stabili, ma abbiamo guadagnato in termini assoluti circa 200mila voti. Ci siamo difesi bene dalla concorrenza di Alternative für Deutschland (AfD), che ha tentato di pescare nel nostro stesso bacino del voto di protesta, cercando addirittura di passere per il partito «della povera gente». Cosa che ovviamente non sono: il loro capolista era l’ex presidente della Confindustria tedesca. Alla fine, i voti li hanno tolti ai democristiani, in particolare alla Csu bavarese. Insomma: noi non abbiamo certo raggiunto un risultato eccezionale, ma siamo riusciti a mantenere la nostra forza in condizioni molto difficili: da un lato, avevamo contro l’AfD, ma anche i socialdemocratici, che ci hanno costantemente accusati di essere antieuropeisti, e dall’altro sapevamo che il nostro elettorato di riferimento (disoccupati e lavoratori dipendenti) si sente poco coinvolto dalle  europee.

A proposito dei socialdemocratici: cosa pensa del loro risultato?

La Spd festeggia il suo 27,3% solo perché cinque anni fa ottenne il 20,8%, suo minimo storico. Detto questo, la Linke deve riflettere su un dato: molti lavoratori si sono riavvicinati alla Spd e ciò significa che dobbiamo fare di più per essere un interlocutore credibile del movimento sindacale.

Pensa che la Spd potrebbe sostenere le battaglie di un ipotetico governo Tsipras in Grecia?

I socialdemocratici dicono di essere contro l’austerità in Europa, ma sono stati a favore di tutti i «piani di salvataggio» con cui la troika ha impoverito la Grecia. Ora si atteggiano a opposizione a Bruxelles, ma governano con Merkel. E non dimentichiamo che la Spd ha collaborato per anni con i socialisti greci del Pasok, espressione delle èlite politiche corrotte di quel Paese. Detto ciò, io consiglierei caldamente alla Spd di cercare di collaborare con Alexis Tsipras, perché ne va della sua credibilità di partito che dice di tutelare gli interessi popolari. Ma non ho molta fiducia nel fatto che ciò accada.

Vede lo spazio per una cooperazione a Strasburgo fra la Sinistra europea e i Verdi? La candidata ecologista Ska Keller ha difeso posizioni molto simili a quelle di Tsipras, salvo forse sulla questione dell’Ucraina.

In linea di principio, cercheremo sempre una convergenza con i Verdi, ma anche con i socialdemocratici, quando le nostre posizioni saranno analoghe. Il primo banco di prova sarà il trattato di libero scambio Ue-Usa (Ttip), che noi contestiamo duramente: anche i Verdi sono contro, ma il governo del Land dell’Assia di cui fanno parte insieme alla Cdu si è espresso invece ufficialmente a favore. Anche sulle misure di «aiuto» alla Grecia votate al Bundestag, devo dire che i Verdi tedeschi, come la Spd, hanno sempre votato a favore, pur criticandole a parole. Infine, lei ha citato l’Ucraina: fra i Grünen ci sono dirigenti – non tutti – che su quella crisi sostengono tesi simili a quelle dei neocons americani. Trovo scandaloso che sottovalutino la presenza di forze neofasciste a Kiev. Insomma: nell’Europarlamento troveremo intese quando possibile, ma non credo che ci siano le condizioni per andare verso una specie di formale alleanza.

Quali devono essere le priorità per il gruppo parlamentare Gue/Ngl?

Una delle più importanti è la battaglia contro l’austerità e per una tassa patrimoniale europea sui milionari. Poi la difesa dei beni comuni (acqua, energia) dalle privatizzazioni e la lotta contro il Ttip, cioè contro la possibilità che le grandi imprese diventino più forti degli stati. Occorre inoltre affermare il principio che i diritti sociali dei lavoratori europei vengono prima delle «libertà di mercato», e fare una lotta senza quartiere ai paradisi fiscali che esistono in Europa.

Ci sono Paesi come Polonia, Romania, Ungheria, Bulgaria dove la Sinistra europea è praticamente inesistente. Cosa si può fare affinché tale situazione cambi?

Naturalmente in quei Paesi la storia ha un peso, e la sinistra politica non ha quasi più nessun ancoraggio. Dovremmo cercare, come gruppo parlamentare ma anche come partito della Sinistra europea, di offrire una sponda ai movimenti che anche là ogni tanto si manifestano. Cito la Lettonia, dove c’è stata una brutale politica di austerità che ha portato alla chiusura di metà degli ospedali.

Ha l’impressione che dopo questa campagna elettorale la politica si sia più europeizzata?

Se devo guardare ai risultati elettorali e ai temi, direi il contrario: assistiamo purtroppo a una ri-nazionalizzazione. C’è poi un piano della politica che è già completamente europeizzato, ma si tratta di un’europeizzazione che noi rifiutiamo: è quella della troika, che va contro la democrazia.