Il 2012 fu l’anno della profezia Maya, secondo la quale il mondo sarebbe dovuto finire in seguito a un immane cataclisma. In quello stesso anno uscì un film, appunto intitolato 2012, che narrava l’avverarsi di quella profezia e lo sterminio di gran parte dell’umanità. Solo una piccola minoranza di donne e uomini potenti sarebbero sopravvissuti. Grazie alla preventiva costruzione di immense arche in grado di portarli in salvo.

L’IMMAGINARIO MOBILITATO in quell’occasione parlava chiaro: la fine, causata dal disastro ecologico, è vicina. Le élites (che l’hanno in gran parte causato) abbandonano le masse per garantirsi la propria sopravvivenza. È esattamente questo il punto di partenza dell’ultimo libro di Bruno Latour Tracciare la rotta. Come orientarsi in politica (Raffaele Cortina Editore, pp. 140, euro 13).
La storia degli ultimi duecento anni è stata segnata dalla parabola della modernità, un progetto fondato sulla promessa di maggior benessere e sicurezza per gli esseri umani, costruito a partire dal dominio e dallo sfruttamento dell’ecosistema.

DUE TENDENZE, in radicale conflitto tra loro, l’hanno caratterizzato, contribuendo a plasmare la politica lungo l’asse destra\sinistra: l’internazionalizzazione, nelle due versioni di una mondializzazione omologante e di una globalizzazione fondata sulla moltiplicazione e la messa in contatto di una pluralità di differenze socioculturali.
Il ritorno al territorio, nelle due accezioni di un localismo xenofobo e aggressivo (comunitarismo senza comunità), e di un radicamento che esalti la storia e le identità dei luoghi, senza escludere nessuno (comunità senza comunitarismo). Per Latour, negli ultimi venti anni queste due tendenze sono diventate illusorie. In particolare, mondializzazione e globalizzazione sono entrate in crisi poiché l’idea di una crescita illimitata ha finito per cozzare contro i propri limiti interni e contro l’ascesa del «nuovo regime climatico» (surriscaldamento del pianeta, cataclismi ambientali sempre più violenti).

DAL CANTO LORO, i vari neo-localismi non sono invece più praticabili come tentativo di riacquistare sicurezza e protezione poiché il mondo e l’ecosistema sono troppo interconnessi. Trump e la Brexit, il ritiro degli Usa dal trattato di Parigi, l’ascesa delle forze neo-populiste in tutto il mondo occidentale come la destrutturazione del Medioriente sono esattamente il prodotto dell’esaurimento di queste due tendenze alla base della modernizzazione occidentale. Ecco allora che a tutti noi è stato sottratto, letteralmente, il terreno sotto i piedi, gettandoci in una condizione di sradicamento universale e di crisi perpetua.

PER LATOUR NON TUTTO è perduto: è in questa situazione che ci è offerta la possibilità di ripensare la società e la politica a partire da nuovi orientamenti. Il principale è quello che il sociologo francese definisce il «Terrestre». La presa d’atto che l’ecosistema non è un oggetto da dominare ma un vero e proprio attore. Un soggetto ipercomplesso che si estende su tutto il mondo (definito nei termini della teoria di Gaia di John Loveloch) e che stabilisce relazioni dinamiche con le sue parti viventi. Riconoscerci parte del «Terrestre» comporta il ripensamento del modello socioeconomico: dall’esaltazione della produzione illimitata occorre passare a un sistema generativo nel quale tutti cooperiamo attivamente e responsabilmente per assicurare la riproduzione della vita. In questo scenario, il continuum destra\sinistra salta: nasce la contrapposizione tra i difensori della vecchia modernizzazione e coloro i quali propongono il salto di qualità verso la nuova politica del Terrestre.

METTENDO AL CENTRO l’indissolubile legame tra crisi sociale e crisi ambientale e, volendo ritornare alla metafora di apertura, impedendo a ristrette minoranze privilegiate di condannare a morte miliardi di persone.
Responsabilità diventa così la nuova parola chiave e la base per costruire un attore collettivo in grado di promuovere dal basso – questa volta, a differenza di quanto fatto dai vecchi movimenti ecologisti, coinvolgendo le masse popolari – l’alternativa socio-ambientale.