I film italiani alla Mostra di Venezia (31 agosto-10 settembre) annunciano grande vitalità del nostro cinema per i tanti esordi nel cortometraggio con tematiche diverse, una nuovissima leva di attori, presenze per niente scontate nel concorso e nelle altre sezioni. Questo almeno sembra essere sulla carta la proposta del programma che ha evitato scelte scontate dando così un giudizio critico complessivo sullo stato delle cose. Da qualche stagione assistiamo infatti a una ripetizione di tematiche tardoadolescenziali sotto forma di blanda commedia.
A scompigliare il Lido ci pensa Enrico Ghezzi. Si sa infatti che ci sarà la presenza di un misterioso «uovo» nei giardini del Casino, un luogo abitato dalle immagini. Questo abitacolo bianco potrebbe essere la Zona, il Cocoon della rivitalizzazione delle nostre visioni. A pensarci richiama in pieno la scena finale di Dealer di Fliegauf, un’immersione in un veicolo spaziale proveniente da un altro mondo o in viaggio verso l’esplorazione alla ricerca di suggestioni migliori.
Si chiama «egh», lo hanno ideato Enrico Ghezzi ed Emiliano Montanari, viaggia per ora sul web e, tra gli altri marziani in arrivo a Venezia, sembra il più attendibile. L’idea è di essere presente non più solo online, ma nei festival italiani e internazionali, per rifilmare il festival e i suoi partecipanti, interazione tra pubblico e artisti, ricomposizione delle immagini. Non resta che andare e vedere.
Un altro nume tutelare che guarda fissamente la Mostra, i film e i suoi spettatori è Marco Ferreri dal programma dei classici tra i quali si presenta Break up, titolo internazionale del suo L’uomo dei 5 palloni, restaurato dalla Cineteca di Bologna e museo nazionale del cinema in collaborazione con Warner Bros, (85’), un film del ’65 dalle assurde vicende, che Carlo Ponti fece ridurre a episodio di Oggi domani dopodomani e in Francia uscì integralmente con il titolo di Break up erotisme et ballons rouge che fa capire il perché la censura in Italia per una blanda anticipazione di Nove settimane e mezzo (ma chi vuole sapere tutto sulle vicende dovrà leggere il saggio di Adriano Aprà in «Marco Ferreri», Marsilio). Non si trattava in ogni caso di censura per motivi erotici, era un vero film di rottura e il titolo che evoca il disastro (Break up) ci sembra assai appropriato agli eventi sociali contemporanei, oltre che del nostro cinema nel complesso, dove un film che dovrebbe essere come un faro splendente, un punto di riferimento serve solo a servire la logica della speculazione. Generi, nomi e maestranze che si ripetono ossessivamente per rispettare le norme ministeriali sulla quantità di premi ricevuti, asservimento inevitabile al linguaggio televisivo.
I quattro film italiani in concorso sono stati scelti in zone appartate di mercato, promettono sorprese: Questi giorni di Giuseppe Piccioni per la sua sensibilità e la capacità di mettere in scena l’azione dei turbamenti interiori, Piuma di Rohan Johnson (una commedia anche questa come la maggior parte dei film italiani, ma girata benissimo, sottolineava il direttore della Mostra Alberto Barbera), Spira Mirabilis di Massimo D’Anolfi e Martina Parenti (in coproduzione con la Svizzera), progetto da documentario e vocazione filosofica, una ricerca iniziata con la «fabbrica del duomo» di Milano a individuare l’elementio terra e poi inserisce anche aria acqua e fuoco, alla ricerca del senso della vita.
L’esigenza spirituale della mostra di quest’anno, la religiosità come tematica la ritroviamo in numerosi altri film italiani e stranieri, segno dei tempi, se perfino il progetto tecnologicamente avanzato si intitola «Jesus VR» primo lungometraggio realizzato in Realtà Virtuale da vedere su sedie rotanti a 360° in una nuova sala appositamente attrezzata. A questo fa da contraltare la forte personalità scenica di Pippo Delbono che si confronta con il Vangelo (alle Giornate degli autori) anzi con tutti e quattro i Vangeli alla ricerca di un legame con la contemporaneità, con i popoli migranti, girato nel campo di Asti.
E anche il film italiano scelto dalla Settimana della critica promette di andare in profondità: Le ultime cose di Irene Dionisio è ambientato in un Monte di pietà, il simbolo bancario/demoniaco dell’Italia contemporanea.
Di un’ampia sezione di cortometraggi, il vivaio che quest’anno sembra essere assai promettente, ci occupiamo nelle pagine seguenti. I documentari italiani, la strada che percorre più di un autore che vuole mantenere una certa indipendenza sono in programma anche con critofilm (i film sul cinema)ad accompagnare i classici: tra gli altri su Ermanno Olmi (Alessandro Bignami), Lorenza Mazzetti (Stefano Della Casa, Francesco Frisari), Bruno Bozzetto (Marco Bonfanti), Carlo Di Palma (Fariborz Kamkari).
Da non mancare, prodotto dall’Istituto Luce L’uomo che non cambiò la storia di Enrico Caria o Assalto al cielo di Francesco Munzi, dopo il successo di Anime Nere un film sulle lotte del ’68.