Il Teatro alla Scala ha riaperto i battenti dopo la seconda dolorosa chiusura a causa della pandemia durata quasi sette mesi, che sommati a quelli della prima chiusura fanno dieci. Tanto, troppo tempo senza il pubblico in sala. Non ci sono serate a porte chiuse, e sono state tante, trasmesse in tv o in streaming, che possano surrogare quella sensazione di condivisione, umana troppo umana, generata dal buio irrorato dalle luci di scena e odoroso di legni e stoffe insieme al silenzio increspato da migliaia di respiri.
La riapertura, che coincide anche con il 75° anniversario della ricostruzione del Teatro dopo la seconda guerra mondiale e con il leggendario concerto di Arturo Toscanini che l’ha celebrata, ha visto avvicendarsi sul podio il direttore musicale di oggi, Riccardo Chailly, e uno dei direttori più illustri del passato, Riccardo Muti. Riccardo contro Riccardo hanno detto i maligni.

E INVECE no. Riccardo accanto a Riccardo, perché le due serate si sono splendidamente amalgamate. E Riccardo davanti a Riccardo, perché Chailly è stato spettatore del concerto di Muti. Teatrale, tematica, etica la prima serata, quanto la seconda è stata una celebrazione della musica come estetica pura, linguaggio autonomo. Ma la grande musica e la grande direzione fanno sempre il giro, congiungendo etica ed estetica. Così Chailly, il 10 maggio, con l’orchestra e il coro del teatro, è partito da «Patria oppressa!» di Verdi per arrivare a «Va’, pensiero» ancora di Verdi, passando attraverso Purcell, Cajkovskij, Wagner e Richard Strauss, per testimoniare, con la partecipazione accorata e sobria di un padre che sente sulle sue spalle la responsabilità dei suoi figli, un anno di pene, perdite, mancanze, un anno di distanze dolorose, dagli altri, dalla musica, dalla vita, in un tragitto di redenzione che va dalla campana che «suona a morto» di Macbeth a un canto capace di infondere «al patire virtù» di Nabucco. Muti l’11 maggio si è innalzato su questa serenità ritrovata e con l’aiuto di un’orchestra titanica, forse la più grande al mondo, i Wiener Philharmoniker, ha navigato le acque appena increspate dell’ouverture «Meeresstille und glückliche Fahrt» di Mendelssohn, il mare grosso della Sinfonia n° 4 di Schumann e le rapide della Sinfonia n° 2 di Brahms.

LETTERALMENTE il nostro Riccardo settantanovenne ci ha danzato sopra, con partenopea ingordigia di vita mescolata a una costruzione del suono e del ritmo di teutonico rigore, alieno in questa sintesi impossibile e luminoso della saggezza dei padri attempati che si concedono e concedono ai figli di lasciarli andare per la loro strada, di fermarsi ad ascoltarli e usare la bacchetta solo agli incroci pericolosi, dove il rischio potrebbe minare la libertà.
La direzione di Chailly ha avvolto, racchiuso, abbracciato per accogliere e riparare, quella di Muti ha svolto, dischiuso, abbracciato per liberare e spingere verso il futuro: la cerimonia del ritorno definitivo alla vita è compiuta.