Si narra che quando nell’agosto del 1965 i Beatles andarono a trovare Elvis a casa sua a Bel Air il menu del loro spuntino di mezzanotte prevedesse uova alla diavola, fegatini di pollo grigliati e polpette in salsa agrodolce. Non esattamente un menu all’altezza del prestigioso incontro. Rock e gastronomia ai tempi non andavano per niente d’accordo. Ma oggi c’è chi sta facendo del suo meglio per avvicinare i due mondi apparentemente inconciliabili. Cresce il numero di rocker con la passione per la cucina e il buon vino e c’è chi ha scelto l’enogastronomia come carriera parallela, mettendo in secondo piano la propria vita musicale. E’ finita l’epoca in cui i divi musicali erano solo consumatori patologici di junk food, bevande alcoliche e sostanze stupefacenti? Forse no, ma oggi sta emergendo una generazione di musicisti che ai bar dei bassifondi preferisce le enoteche, alla sbronza con whisky le degustazioni di Cabernet Sauvignon e alle indigestioni la nouvelle cousine. Che vino abbinereste a un brano di heavy metal? Che canzone ascoltereste mangiando una specialità culinaria? L’accostamento tra enogastronomia e rock deve ancora essere esplorato in tutte le sue potenzialità.

Maynard James Keenan

 Maynard James Keenan è uno dei più enigmatici e bizzarri personaggi del rock moderno. Il suo talento musicale si è espresso al meglio nel progressive metal dei Tool, band nata nel 1990 e di successo planetario, e poi nell’altrettanto fortunato side-project degli A Perfect Circle. I Tool si sono rivisiti in tour nel 2009, ma ormai da sette anni non pubblicano un nuovo album. Gli APC sono in pausa. Keenan è ricomparso sporadicamente alla guida di un progetto musicale sottotraccia chiamato Puscifer. Le sue sempre più rare apparizioni musicali hanno una ragione ben precisa. Maynard ha deciso di dedicarsi al lavoro di produttore di vino. Lavoro che svolge con assoluta serietà, ma conservando l’istrionismo e la trasgressione della sua carriera musicale. E’ proprietario di una vigna a Verde Valley in Arizona che ha ribattezzato Merkin, che era il nome che indicava le parrucche vaginali che usavano le prostitute di una volta. Qui le sue cantine chiamate Caduceus (qui il riferimento è classico, era il bastone del dio Hermes) producono vini blasonati e che hanno raccolto diversi apprezzamenti non solo dai fan dei Tool. Keenan ha sempre arricchito le sue creazioni musicali con un immaginario cupo e spesso legato a un misto tra horror, fantascienza, mitologie esotiche e misticismo. Ora promuove i vini con lo stesso stile, con un sito internet che sembra ispirato ai video musicali della sua band e dando ai suoi vini nomi fantasiosi e suggestivi. La sua carriera di rockstar alternativa votata a Bacco è al centro del documentario “Blood into Wine” del 2010. Nella sua produzione ormai copiosa ci sono vini da uve Bourdeaux (Cabernet Frane, Merlot, Cabernet Sauvignon) e spagnole (Tempranillo, Guarnacha), ma anche un Sangiovese ribattezzato, chissà perché, con il termine giapponese Kitsune, “volpe”. «Al posto di comprarmi una Ferrari molti dei soldi che ho fatto con la musica sono finiti qui» ha detto il cantante che ha deciso di incidere parte dell’ultimo album dei Puscifer proprio nelle sue cantine. Il vino però che ha forse più riferimenti con l’opera musicale e con le vicende personali di Maynard è il rosso Judith. I fan dei Tool sanno bene che l’ultimo album pubblicato dalla band, 10.000 days, è stato dedicato dall’artista alla madre Judith Marie, scomparsa dopo una lunga malattia a cui fanno riferimento i 10mila giorni del titolo. Dopo la sua morte il cantante ha preso le ceneri della madre e le ha sparse nelle vigne. «Ora le nostre viti e i nostri vini sono la sua resurrezione e le sue ali» ha detto Keenan. Nel 2010 il vino Judith ha battuto in una degustazione bendata alcuni rossi europei tra cui un Chianti Classico.

Mick Hucknall

 «Le vigne allevate ad alberello, sulle terrazze, in due versanti dell’Etna: est nel comune di Sant’Alfio che guarda il mare; nord tra Castiglione di Sicilia e Randazzo. Vi si trovano distribuiti venti ettari di nere terre vulcaniche a varie altitudini. Sul fianco est del Vulcano, esposto ai miti venti marini, che arrivano da oriente, si trova il nucleo originario dell’azienda: la vigna di Puntalazzo e l’antico palmento del 1760». Questo è il biglietto da visita dell’azienda vitivinicola il Cantante, fondata nel 2001 da Mick Hucknall, voce e leader dei Simply Red, band di cui è sempre stato l’unico membro fisso. Sulla scorta di una carriera venticinquennale e di più di 50 milioni di dischi venduti nel mondo, l’artista la cui passione per il buon bere è sempre stata nota, ha affidato all’enologo Salvo Foti la cura dei vigneti con cui dal 2005 produce vini di qualità che, nelle parole dello stesso Mick, dovrebbero cogliere l’essenza del territorio dell’Etna. Ma questa avventura è iniziata quasi per caso: «Ho sviluppato una passione per l’Italia all’inizio della mia carriera – ha raccontato Hucknall a Wine Spectator, la “bibbia” degli appassionati di vino – e nel 1989, bevendo un Barolo, ho avuto con il vino una vera e propria epifania. Un mio vecchio amico era originario della Sicilia e suo padre andò in pensione e si ritirò sull’Etna, dove aveva comprato una proprietà con una villa e delle vigne. Ma letteralmente pochi giorni dopo essere andato in pensione morì di infarto. Il mio amico la prese molto male si trasferì nella villa e decise, in onore del padre, di rendere le sue proprietà un posto bellissimo. Allora mi disse: “Perché non facciamo del vino?”. Conoscemmo poi Salvo Foti e iniziammo così a fare sul serio».

Sergi Arola

 Da aspirante rockstar a chef osannato come una rockstar. Per lo spagnolo Sergi Arola, classe 1968, la cucina era in gioventù solo un mezzo. Il rock era il fine. A 12 anni un nonno gli insegnò a cucinare, da adolescente capì che diventare cuoco e lavorare nei ristoranti avrebbe pagato le chitarre e poteva dare una spinta economica ai suoi sogni di musicista emergente. Già membro dei Los Interrogantes approdò ai Los Canguros, band con un buon seguito nella scena catalana di rock alternativo. «Andai alla Escuela de Hostelería y Restauración di Bercellona – spiegherà Arola -. Ero convinto che se fossi andato a scuola sarei diventato uno chef migliore e questo mi avrebbe dato più tempo per la musica». Il successo ai fornelli rapidamente era destinato ad oscurare i suoi successi musicali. Nel 1992 era chef de cuisine al ristorante La Jijonenca di Barcellona e nel 1995 approdò al Talaia, un ristorante d’avanguardia in cui lavorò con Ferran Adrià, guru della cucina molecolare. Cucinò poi anche con Pierre Gagnaire a Parigi e, tornato in Spagna, divenne titolare di un suo ristorante, trasformandosi ben presto uno dei nuovi divi della cucina spagnola. Oggi è celebrato in tutta Europa, un cuoco da due stelle Michelin i cui ristoranti principali sono il Gastro e il La Broche di Madrid. Ma Arola non ha dimenticato la musica. Sui siti web dei suoi locali lancia nuovi artisti, frequenta band di fama internazionale che ospita ai suoi tavoli e ostenta orgoglioso la sua collezione di chitarre pagata, come nei suoi sogni adolescenziali, dai suoi trionfi in cucina. Lo scorso marzo è stata pubblicata una raccolta antologica dei suoi Los Canguros intitolata Un salto adelante (1986-1990). Sergi spera, un giorno, di tornare a essere un musicista: «Scrivo le mie canzoni e i miei testi. Amo la musica. E’ importante come la mia cucina. E’ stata il mio primo e potrebbe essere anche il mio ultimo amore».

Les Claypool

Negli anni ’90 i Primus erano l’alternativa al rock alternativo e con il loro sound eccentrico, dissacrante, ma magistralmente architettato, riuscirono anche a diventare capaci di ottenere un inaspettato successo commerciale. Negli anni 2000 la band si è presa una pausa di circa un decennio per poi tornare sulle scene con un nuovo album nel 2011. Les Claypool leader della band e suo fenomenale bassista non ha passato quel decennio con le mani in mano. Ha partecipato a svariati progetti musicali paralleli, ha diretto un film, scritto un romanzo. E si è dato all’enologia. Claypool si trasferì a vivere nel 1995 in uno dei territori più vocati al vino degli Stati Uniti, la Russian River Valley nella contea di Sonoma. «Ho visto per anni – ha raccontato – i frutteti venire sostituiti dalle vigne e man mano che questo accadeva diventavo amico di enologi e vignaioli. Ho iniziato a bere il Russian River Pinot. Da allora smisi di fumare canne. E scelsi di darmi al vino». Da utilizzatore a produttore il passo è stato breve: «Io e alcuni amici ci rendemmo conto che sarebbe stato quasi più economico farci il nostro vino piuttosto che spendere tutti quei soldi in vini di classe. Se ci ripenso mi viene da ridere perché da allora ho speso una vera fortuna. Ma oggi facciamo ottimi vini». La prima annata di Les fu il 2007, un anno ritenuto il miglior raccolto del secolo per le uve californiane. Le sue prime produzioni sono state di Pinot per poi arricchirsi di un rosé con vitigni Grenache. M poteva un cantante che pubblicò un album dal titolo “Navigando sui mari di formaggio” produrre vino senza dare un tocco di originalità? Claypool ha scelto come marchio un elefante viola che contrassegna tutta la sua produzione di Pinot. Il suo rosè è invece commercializzato con il marchio di un ornitorinco rosa. Non sono bottiglie per tutti, il Pinot Noir “Pachiderma Viola” del 2007 viene venduto a più di 60 euro a bottiglia. E come in ogni evento rock che si rispetti si può comprare anche la maglietta con il logo.

Jani Lane

Jani Lane, scomparso nel 2011, fu uno degli eroi della scena musicale di fine anni ’80 definita malignamente “Hair Metal” per alludere alla eccessiva preoccupazione che i suoi protagonisti avevano per le acconciature. Lane era il leader, il cantante e l’autore di quasi tutti i brani dei Warrant, band che in USA inanellò una serie di successi radiofonici e video che andarono in heavy rotation su MTV. La loro più grande hit fu il tormentone “Cherry Pie” (Torta di ciliegie) che portò la formazione a vendere più di due milioni di album in un anno. La canzone alludeva non a un dolce, bensì a una ragazza e conteneva riferimenti più erotici che culinari. Divenne comunque un inno in innumerevoli fiere gastronomiche americane, fu anche onnipresente a tutte le competizioni più o meno demenziali dedicate alle torte che impazzano durante l’estate nella provincia a stelle e strisce. Lane finirà per odiare il brano che sarà costretto a suonare in ogni suo concerto per tutta la sua carriera. «Mi dovrei sparare in testa per averlo scritto» sbottò una volta il cantante, confessando che era stato costretto a scrivere “Cherry Pie” dalla casa discografica che pretendeva dai Warrant un brano facile e immediato. Ma il cibo era il destino di Lane che aveva da sempre una passione, ai tempi inconfessata, per la cucina. Passato il successo e abbandonati i Warrant, accanto a una carriera solista, la professione di Jani è stata quella di gestore di locali assieme al suo vecchio compagno di band Billy Morris. Jani si divertiva a creare tutti i piatti del menù e a inventare ricette nuove. «Sono un buon cuoco, ho cucinato tutta la vita», diceva. Nonostante tutto dai suoi menù, come dai suoi concerti, non mancava mai la torta di ciliegie. Gli faceva venire la nausea, ma gli aveva dato la fortuna.

Kid Rock

La città di Detroit lo scorso luglio ha dichiarato fallimento, oppressa da un debito di oltre 18 miliardi di dollari. La ex- Motor City ha perso industrie e centinaia di migliaia di abitanti, ma rimane comunque una delle capitali della musica americana. Una delle star originarie della metropoli in declino è il rapper-rocker Kid Rock che nel 2009 ha pensato di dare energia all’economia della città creando una sua birra e facendola produrre dalla locale Michigan Brewing Company. La star ha marchiato bottiglie e lattine con il brand “Badass”, la birra dei duri. Per quanto nelle intenzioni fosse roba per veri uomini, la “american lager” di Kid Rock si è rivelata una birretta leggera e inconsistente e nel giugno 2012 la Michigan Brewing Company ha fatto la fine di quasi tutte le aziende “made in Detroit” ed è fallita. Kid Rock però, che beve birra anche a colazione, non si è arreso e si è ripromesso di tornare con una birra sempre fatta nella sua città più buona e ancora più da duri. I fan del rock possono consolarsi intanto con altre birre sponsorizzate da artisti rock: la Bastard Lager dei Motorhead, la Trooper Ale degli Iron Maiden o la Weizen beer dei Sepultura. I veri buongustai possono però rivolgersi ai mastri birrai della Dogfish head, azienda del Delaware che, su incarico di case discografiche e band, produce birre di alta qualità dedicate ad artisti e ad album storici. Da non perdere la Hellhound on My Ale in onore del bluesman Robert Johnson, la Faithfull Ale prodotta per i Pearl Jam in occasione dei 20 anni del loro album di esordio Ten e la American Beauty dedicata ai Greatful Dead.

Dave Matthews

E’ il sogno di ogni enologo trovare un ricco mecenate con la passione per il vino. E’ quello che è accaduto a Steve Reeder che dopo aver lavorato in vigneti sulla costa est e sulla costa ovest degli Usa è diventato amico di Dave Matthews, jam rocker che dopo aver venduto nella sua carriera più di 30 milioni di album aveva soldi da spendere per i suoi sfizi. La rockstar possedeva già una vigna in Virginia con cui produceva vino a livello amatoriale. Ma dopo aver incontrato Reeder ha deciso di trasformare un hobby in una missione. Oggi il duo produce nel cuore della terra del vino californiana una linea di vini con il marchio “The Dreaming Tree”, nome tratto da una celebre canzone della Dave Matthews Band. Dal 2011 il loro vigneti propongono Chardonnay, Cabernet Sauvignon, Merlot e Zinfandel a prezzi intorno i 15 euro a bottiglia. «Sono qualcosa di cui andare orgoglioso – ha detto Dave -. Fare il vino è come fare musica. L’esito finale dipende da quello che ci metti dentro». «Vogliamo fare vini complessi, ma anche a portata di tutti. Vini piacevoli e da pasto, ma con anima». E’ la stessa ricetta della musica di Matthews che nel suo repertorio ha anche una canzone dal titolo “Don’t drink the water” e che oggi può sembrare una pubblicità occulta.

Kiss

 Hanno messo il loro marchio su qualsiasi prodotto commerciale a cui si possa pensare. I Kiss sono stati la prima vera rock band a diventare un brand. Finito su tutto. Ma proprio tutto. Il nadir della loro sindrome da merchandising compulsivo è stato toccato quando il logo del gruppo è arrivato a istoriare le casse da morto e una carta igienica in compartecipazione con Hello Kitty (!). Come in ogni supermarket che si rispetti non manca il reparto eno-gastronomico. I vini Kiss esistono ormai da molti anni, ma sostanzialmente si è quasi sempre trattato di bottiglie istoriate per collezionisti e non certo dedicate ai sommelier. Solo di recente esiste un vino del vitigno Zifandel (Primitivo) da colline californiane che pare abbia superato la soglia di bevibilità (non per nulla è venduto solo in Europa). Dal 2011 è in commercio anche la Destroyer Beer che, assicurano Gene Simmons e soci, è preparata “nella miglior tradizione tedesca”. Nel corso degli anni non sono mancati i dolci, dai gelati ai biscotti, i cereali per colazione, i soft drink, un’edizione speciale della Coca Cola, la ketchup e il caffè. I Kiss hanno prodotto più generi alimentari che musica. Senza dimenticare la loro nuova catena di ristoranti Rock & Brews: già 3 punti inaugurati negli Stati Uniti e altri 4 in via d’apertura. «Stiamo spargendo i nostri tentacoli – ha detto Paul Stanley -. E’ un posto per famiglie e amici dove puoi scegliere tra più di 80 tipi di birra, ascoltare rock di qualità e mangiare bene».