La leggenda vuole che Jack London non conobbe spazzolino da denti fino all’età di 19 anni. Forse è un aneddoto che corrisponde a verità, ma quell’oggetto ignorato dallo scrittore di san Francisco, magari dimenticato in qualche polveroso cassetto, sta lì a dimostrare una vita da vagabondo, un’esistenza all’insegna di mille mestieri (fece anche il pescatore clandestino di ostriche), molte bevute, grandi successi e altrettante derive.

LONDON MORÌ cento anni fa, nel 1916, a soli quarant’anni con il fisico rosicchiato dai suoi eccessi e dalla morfina: era diventato l’autore «più pagato d’America», giornalista di guerra e romanziere prolifico, capace per temperamento di bruciare soldi a palate e anche idee socialiste e rivoluzionarie in qualche descrizione «non politicamente corretta», oppure di trasformarsi nel cantore solitario – col suo stile crudo – della disperante condizione umana.

A UN SECOLO dalla sua scomparsa, la casa editrice Orecchio Acerbo riporta in vita Buck, il cane più famoso della letteratura, che viene strappato a una vita di agi per finire al servizio di cercatori d’oro senza scrupoli, attaccato a una slitta, costretto a sopportare maltrattamenti, combattimenti sanguinosi, padroni maneschi fino alla necessaria riscossa. Sarà l’ululato dei lupi a far riaffiorare la sua parte selvaggia che, in fondo, sarà quella salvifica.
Il richiamo della foresta – libro che nacque dall’esperienza diretta dello stesso London, partito nel 1897 insieme al cognato verso l’inospitale Yukon canadese, in preda alla collettiva febbre dell’oro – è riproposto nella traduzione di Davide Sapienza, con le illustrazioni del torinese Maurizio A.C. Quarello che mettono in scena la natura brutale delle terre d’Alaska in tavole pittoriche che ricordano moltissimo le edizioni che circolavano negli anni 60 e 70.

SEMPRE SULLA SCIA dell’avventura che sembra caratterizzare gli scaffali natalizi 2016 delle letture per ragazzi, agli antipodi dello scrittore che «vive per raccontare» c’è anche un amato revival, portato in libreria da Piemme, per Il Battello a Vapore: è l’Emilio Salgari dell’India e Malesia immaginarie, mai visitate, che prendono forma da riviste di viaggi, atlanti, letture compulsive da topo di biblioteca. I misteri della Jungla nera (introduzione di Bianca Pitzorno, illustrazioni di Rita Petruccioli) è un romanzo che fa parte della saga «esotica» che fece capolino per la prima volta nel 1887 in appendice al periodico Il Telegrafo di Livorno, con il titolo Gli strangolatori del Gange.

Il giusto approccio a un testo di altri tempi, che ha segnato più le notti di genitori, zii e nonni che quelle dei lettori d’oggi, lo consiglia Pitzorno stessa in apertura di libro: è quel patto che si fa con lo scrittore sospendendo la propria incredulità di fronte a incongruenze diventate palesi con la consuetudine da globetrotter che hanno assunto gli abitanti del pianeta in questo XXI secolo. A lei, Salgari fu vietato dalla professoressa perché «non sapeva scrivere». Però continuò a divorarlo, gustandosi in pieno l’ipnosi della narrazione nonostante il difetto di verosimiglianza. Per sciogliere i punti più oscuri, il romanzo viene corredato (a margine di pagina) da piccole schede esplicative, che evocano metodi e intenti del racconto.

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ANCHE LO SCRITTORE di Verona, che ebbe in sorte di canonizzare le storie di pirati senza diventare mai lui stesso uomo di mare, fallendo il suo apprendistato nautico, non guadagnò col suo mestiere una esistenza felice: dopo circa 85 romanzi, l’invenzione di Sandokan e Yanez, del Corsaro Nero e sua figlia Jolanda, si suicidò nel 1911, a 49 anni, con la moglie ricoverata in manicomio e lui tragicamente in miseria. Forse inseguendo qualche suggestione delle sue letture, fece harakiri come i samurai.

Peripezie, sete di conoscenza, inquietudine: I fantastici viaggi di Jules Verne è un altro volume che favorisce un salto nel passato con l’ambizione di catapultarsi nel cuore pulsante del futuro. È la strenna della casa editrice Lapis che raccoglie nell’albo illustrato da Eric Puybaret (con la traduzione di Alessandro Riccioni) tutte le fantasie avveniristiche dello scrittore francese dell’Ottocento (era nato a Nantes nel 1828). Mongolfiere, giri del mondo nei fatidici ottanta giorni, tuffi al centro della terra e perlustrazioni degli abissi (Ventimila leghe sotto i mari) sono tutte avventure dal sapore scientifico un po’ vintage offerte ai bambini, in un adattamento del testo originale. Verne condivise la smania dei suoi personaggi: nel 1839, a undici anni, tentò la fuga da casa e dalla quotidianità imbarcandosi di nascosto sulla nave La Coralie, diretta nelle Indie: suo padre lo scoprì e riportò indietro.

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Se l’altrove di Salgari non rende giustizia alle culture «non occidentali» rivestendole della propria fantasia, a spostare la barra lungo una rotta un po’ più precisa ci pensa Donzelli con la sua ripubblicazione de Le mille e una notte (a cura di Roberta Denaro, che propone anche la traduzione insieme a Mario Casari, mentre le tavole illustrate sono di Cinzia Ghigliano). Siccome quell’intreccio di narrazioni sublimi si dipana a partire da una «interpretazione» – quella di Antoine Gallard, ecclesiastico e orientalista francese che le tradusse nei tra il 1704 e il 1717 – era necessario rintracciare la matrice di quel libro-mondo: il manoscritto arabo in tre volumi, proveniente dalla Siria. Con gli strumenti certosini della filologia, ci ha lavorato a lungo l’arabista dell’università di Havard Muhsin Mahdi, pubblicando l’edizione critica dopo vent’anni di studi e ricostituendo il nucleo originario delle Mille e una notte. La voce di Shahrazad attraverserà così duecentottantadue notti.

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INFINE, CONTINUANDO a viaggiare verso est, si raggiunge il paese dei ciliegi in fiore, quello che ispirò il linguaggio delle avanguardie artistiche e fece straripare dagli angusti confini accademici le possibilità della pittura occidentale. Il sogno di Hokusai (Skira Kids, pubblicato per accompagnare la mostra sull’ukiyo-e ospitata nelle sale di Palazzo Reale di Milano fino al 29 gennaio) segue i personaggi principali delle stampe del grande maestro del «mondo fluttuante» attraverso apparizioni oniriche dello stesso artista. È lui a inseguire le libellule e il gracidio rane, a infilarsi nei brulicanti mercati della città di Edo, poi Tokyo. Un libro di rara bellezza, scritto e illustrato da Ilaria Demonti. Onde, pesci, civette che dormono sui rami, fili d’erba al vento: l’impermanenza delle stagioni attraversa le pagine con i suoi colori evanescenti.