Antonio Santucci è stata e continua a essere uno degli studiosi più interessanti del pensiero di Gramsci, del marxismo italiano. Rigoroso, aperto a diversi campi del sapere, con una tensione umanistica e partecipativa sempre viva, Santucci non solo ha curato un’imprescindibile edizione delle Lettere dal carcere (riproposta nel 2013 da Sellerio), ma ha scritto contributi importanti sulle relazioni tra filosofia, politica e cultura. A confermarlo è la seconda edizione di Senza comunismo. Labriola Gramsci Marx, riproposto da Editori Riuniti (pp. 168, euro 15), con una bella prefazione di Lelio La Porta e Donatello Santarone. I quali appunto si soffermano su un tratto peculiare di Santucci: la capacità, fedelmente gramsciana, di allestire una «filologia vivente» degli oggetti indagati, in una dimensione comunque critica, sempre tesa a una forma rinfrescante di caparbia elaborazione concettuale.

STUPISCE, in questi saggi dedicati al pensiero socialista, lo sguardo sempre ampio, la capacità di allestire collegamenti tra la grande letteratura mondiale e la critica della economia politica. Si può dire di Santucci, del resto, quel che lui stesso scrive di Eugenio Garin, in un testo che il lettore trova in appendice: «estraneo a ogni sorta di dogmatismo teorico, nonché a conseguenti cedimenti all’ortodossia politica».

IN SANTUCCI C’È comunque un continuo cammino attraverso Gramsci che gli permette un attraversamento costante di tutte le presupposizioni critiche e storiografiche: perché, interpretando una battaglia contro lo specialismo e contro il bizantinismo dei concetti, il metodo gramsciano coglie il legame stringente tra l’elaborazione teorica e la verifica pratica, in un dinamismo dialettico che non lascia spazio all’improvvisazione, ma che al contrario si pone come critica del senso comune. Si legga in tal senso il saggio sull’esperienza dell’Ordine nuovo, in cui Santucci rilegge l’opposizione tra cultura astratta e cultura concreta, tra utopismo e realtà vissuta, come la chiave di accesso a quell’idea di storicismo assoluto delle cose e dei concetti che sarà alla base del pensiero «processuale» di Gramsci. O si leggano le pagine dedicate a Labriola, nel tentativo di rimettere in primo piano una figura centrale per lo sviluppo teorico del comunismo critico. E, ovviamente, le pagine dedicate a Marx.

«SENZA COMUNISMO»: Marx, Labriola e Gramsci, commentano La Porta e Santarone, vissero «le loro esperienze immediate di ricerca, di studio, di proposta, di militanza politica nella mancanza pressoché totale di una qualsiasi speranza di veder realizzata una rivoluzione comunista o qualcosa che in qualche modo si avvicinasse al comunismo». Ciò autorizza a pensare le loro pagine e la loro attività politica come una continua implicazione, scrive Santucci, tra «l’aspetto teorico del comunismo come “risultato” del processo storico» e «quello politico tendente a organizzare praticamente il movimento che dovrà realizzarlo». Si tratta di una metodologia culturale e politica che Santucci ha il merito di aver ripercorso ed enfatizzato nei suoi scritti.