Il giovane Bruno, il vecchio Johannes e la piccola Marlene sono i tre protagonisti dell’ultimo libro di Matteo Righetto, I prati dopo di noi (edizioni Feltrinelli, 15 euro). Si tratta di un romanzo distopico, capace di intrecciare le tre esistenze per costruire un racconto degli effetti estremi dei cambiamenti climatici e del riscaldamento globale sulla vita degli esseri umani sulla Terra.

LA STORIA E’ AMBIENTATA in Alto Adige – tra masi, conventi, villaggi e cime alpine – e racconta di un itinerario forzato verso l’alto alla ricerca della Vita, cioè di un’ultima fioritura possibile con lo scioglimento dei ghiacciai del massiccio dell’Ortles, a quasi 4 mila metri sul livello del mare.

ELEMENTO PORTANTE della narrazione è far sì che il lettore non possa in alcun modo riconoscere in che momento lungo la linea del tempo nel mondo reale si collochino le vicende narrate: i protagonisti si muovono su carri di legno trainati da bestiame, e questo farebbe collocare le vicende de I prati dopo di noi almeno un centinaio di anni fa. Il caldo asfissiante, il fuoco di incendi che bruciano ogni cosa, la siccità che rende impenetrabile il suolo e impraticabile l’agricoltura rimandano però a scenari di un futuro prossimo, in cui il motore a scoppio (quello delle automobili) non esiste più, perché non c’è più petrolio a buon mercato da trasformare in carburante oppure perché si è arrivati a decidere un blocco totale dei combustibili fossili per ridurre le emissioni di gas climalteranti.

SE ANCHE FOSSE COSI’, lo abbiamo capito tardi, sembra suggerire Matteo Righetto, perché ormai non c’è più niente da fare: il gigante Bruno (un ragazzo che apparentemente ha un ritardo mentale, abbandonato dal fratello in un convento dopo la morte dei genitori) e il vecchio falegname Johannes, che apparentemente non ha più ragione di vivere dopo la morte dell’intera famiglia, vittima di uno dei tanti eventi estremi, trascinano i loro carretti verso la cima della montagna anche se sanno che una volta giunti lassù non potranno salvare se stessi.

NON E’ FANTASCIENZA, questa, ma gli scenari più cupi tracciati dagli scienziati del clima, secondo i quali tra pochi decenni il Pianeta diverrà invivibile per l’uomo se non sapremmo ridurre in modo drastico le emissioni e la concentrazione in atmosfera di CO2. Non è tutto perduto, però: Bruno fin da bambino capisce la lingua degli elementi naturali e parla con le api che impara ad allevare all’interno del monastero. Lui deve raggiungere la cima dell’Ortles per portare in salvo le ultime api del mondo, che lassù troveranno il modo di nutrirsi, produrre miele e far ripartire così il ciclo della vita. SESenza l’uomo, elemento di disturbo nemmeno troppo indispensabile, senz’altro tra gli esseri viventi quelli che più hanno fatto per distruggere la vita sulla Terra.

MATTEO RIGHETTO, padovano, vive tra la città veneta e un piccolo borgo sulle Dolomiti. Il suo credo di narratore lo ha riassunto a febbraio 2021 in un post Facebook ed è tutto nelle 172 pagine del suo ultimo libro: «Continuerò a esplorare l’animo umano, ma lo farò sempre partendo dalla contemplazione di queste montagne, di questi boschi, del vento che soffia sul mio viso e della vita che qui e soltanto qui avverto vibrare così autentica e forte. La sfida sta nel riuscire a raccontare l’Universale scrutando il proprio umile paesaggio, fiutando le profonde relazioni che in ogni momento si instaurano intrecciandosi tra io e natura e di conseguenza tra tutti gli esseri umani. Ciò che per me significa: ritrovare un nuovo orizzonte di senso per ogni vivente».