Tiziano Fratus è un poeta, e lo è – necessariamente – anche quando firma un libro che sullo scaffale va di diritto nella sezione dedicata ai saggi, come l’ultimo Il bosco è un mondo (Einaudi, 2018, 16,50 euro).

Più o meno ad ogni pagina, così, viene voglia di fermarsi ad annotare qualche periodo che potrebbe diventare una bellissima citazione, sottolineandolo o incollando un post-it, per poter facilmente tornare al segno. Volendone riportare una e solo una, perché questo è un libro da leggere, e toccherà ad ognuno di voi scegliere le proprie, riscrivo queste parole: «Finché avremo foreste si avrà un luogo dove perdersi, dove dimenticare, dove allevare radici reali, simboliche quando metafisiche, spirituali. L’uomo che ritorna in foresta, immergendosi nel cuore del bosco, viaggia nel tempo, torna bambino, riapre gli occhi sulla meraviglia. Un mondo privo di foreste è un mondo orfano del ventre che l’ha partorito».

Qui dentro c’è l’essenza del libro di Fratus, almeno per come l’ho letto: intanto c’è lo stupore fanciullesco, quello che coglie chi si trova davanti ad un albero monumentale, ad un patriarca, ad uno dei grandi alberi descritti; c’è poi il senso della ricerca: l’autore ha girato i boschi di tutta l’Italia misurando tronchi (e tutto il mondo, cercate anche i suoi libri passati), e descrive in modo ricco i propri itinerari e «la scoperta»; infine, viene il messaggio politico: abbiamo perso di vista il bosco, e al pari dei reperti archeologici non sappiamo tutelare nemmeno questi «monumenti», mettiamo a rischio a causa dell’incuria un patrimonio storico e naturalistico.

Leggendo il libro, mi capita di affacciarmi alla finestra: fuori c’è l’ultimo lembo di Appennino pistoiese, i terrazzamenti abbandonati ormai sommersi da una vegetazione spontanea ed incontrollata; sono macchie marroni che – pare di capire, leggendo Fratus – rappresentano il contrario di un bosco. E segnano forse anche la fine di quel mondo, contadino, che dipendendo dalla Natura ne riconosceva il valore.
«Il bosco è un mondo», però, ha la capacità di cancellare quest’immagine. Perché ti fa sognare. Consiglio perciò di leggerlo tenendo accanto a voi un bell’Atlante geografico, quello delle medie, o una dettagliata carta stradale dell’Italia: ad ogni capitolo (che qui si chiama «Bosco»), e per ognuna delle nove Costellazioni (i paragrafi?) che caratterizzano il Quarto, ho avvertito il desiderio di averlo con me, da usare per capire «dove» andare a cercare proprio quel grande albero descritto da Fratus.

Leggendo il libro, poi, s’impara tanto altro. Non sapevo che il diametro di un tronco si misurasse «a petto d’uomo» (circa un metro e mezzo da terra), e oggi so che è bene portar sempre con sé un metro, quando si entra in un bosco.

Penso a Tiziano Fratus come a un libraio appassionato o ad un bravo enotecaro, che dopo aver letto, letto e letto (o bevuto, bevuto e bevuto) consiglia a noi i libri (o i vini) che più lo hanno colpito. Ma lo fa con gli alberi. Possiamo seguirlo nel suo viaggio, o creare una nostra «lista dei preferiti». Abbiamo a disposizione – nel libro è citato – il primo elenco nazionale degli Alberi Monumentali. Ne classifica 2.407, ed è pubblicato da febbraio 2018 sul sito del ministero delle Politiche agricole. Uno straordinario capitale naturale cui approcciarsi seguendo le indicazione della dendrosofia, quella «branca del sapere che unisce le diverse tipologie di conoscenza riguardanti la storia, la biologia, la botanica, gli studi forestali, l’antropologia, la letteratura ecc. relative agli alberi e ai boschi» come spiega homoradix.com, il sito di Tiziano Fratus.